Cambiamenti Climatici in Tribunale
Corte d’Appello di Hamm, Germania. Ad un lato dell’aula Saul Luciano Lliuya, guida andina di trentasette anni, dall’altra i rappresentanti della RWE, il gigante tedesco dell’energia elettrica. In gioco ci sono 23 mila euro come parziale copertura dei fondi necessari per mettere in sicurezza la città di Huarez (Perù) ai piedi di un ghiacciaio il cui scioglimento per effetto del surriscaldamento globale sta facendo aumentare pericolosamente il livello delle acque del lago Palcacocha e il rischio di inondazione per 120 mila abitanti.
Il caso Lliuya è solo l’ultimo esempio della crescente ondata mondiale di iniziative legali attraverso le quali si sta cercando di ottenere il riconoscimento della responsabilità dei grandi emettitori di CO2 per i danni derivanti dai cambiamenti climatici. In occasione del Climate Justice Day alla COP23 esperti e rappresentanti di ONG si sono riuniti per fare il punto sullo stato e le potenzialità delle Climate Change Litigation, un’ampia categoria di cause legali riguardanti i cambiamenti climatici.
“Semplificando”, ha spiegato Sophie Marjanac di ClientEarth, “a livello nazionale queste cause sono intentate da singoli o associazioni contro le amministrazioni statali o le grandi società inquinanti”. Ma quando si tratta di individuare un responsabile ci si scontra con la complessità del fenomeno che “è causato dalla somma delle emissioni di milioni di soggetti in tutto il mondo e in un arco di tempo molto lungo, non si limita ai confini nazionali coinvolgendo più di una giurisdizione, è il frutto di diversi fattori, inclusa la deforestazione, e gli studi scientifici sono molto complessi e con residuali margini di incertezza”.Questo tipo di cause ha avuto una lunga storia (la maggior parte negli Stati Uniti), ma negli ultimi 15 anni si è registrata una nuova ondata con esiti più favorevoli rispetto al periodo precedente. Le ragioni? Da una parte, dato il costante incremento dei danni da cambiamenti climatici le sempre più pressanti richieste dei cittadini per l’individuazione dei responsabili, dall’altra, lo sviluppo delle conoscenze scientifiche (c.d. Attributing Science) sugli impatti specifici nelle diverse aree della terra e sulla riconducibilità delle emissioni alle singole imprese. Ma non solo, C. Muffett (presidente del Center for International Environmental Law) ci racconta che sono ormai emerse prove delle attività di insabbiamento e lobbying delle più importanti compagnie petrolifere: non più tardi degli anni ottanta i pericoli erano già noti e dagli anni novanta hanno svolto attività di disinformazione e minimizzazione degli stessi.
Ma in tribunale vengono portate anche le amministrazioni statali e l’insufficienza delle loro politiche climatiche. La tendenza maggiormente innovativa, infatti, è quella di far valere il dovere di protezione dello Stato verso i suoi cittadini il cui futuro è minacciato dal riscaldamento globale. Nelle argomentazioni si richiamano diritti umani, norme costituzionali e obblighi internazionali assunti a partire dal 1992 con la Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici fino all’Accordo di Parigi del 2015. Proprio la settimana scorsa è iniziato il processo The People v. Norway, con il quale i cittadini sostengono che le recenti autorizzazioni per trivellazioni petrolifere nell’Artico, oltre a ledere diritti costituzionali, renderebbero impossibile per la Norvegia rispettare gli impegni di riduzione delle emissioni presi a livello internazionale. Non si tratta di un caso isolato: pronunce favorevoli sono già state emesse nei Paesi Bassi e in Pakistan e altre ancora sono pendenti.”In molti casi gli attori sono minori proprio perché, privi del diritto di voto, non hanno altro strumento per far valere i diritti delle generazioni future” ha specificato Noemi Ages di Greenpeace USA. Difronte alla mancanza di volontà politica cresce la frustrazione della popolazione civile che, quindi, cerca risposte in tribunale. Questo tipo di cause sono uno strumento per fare pressione sulle amministrazioni e sulle compagnie inquinanti. Ne è consapevole Makereta Waqavonovono, avvocata Fijiana, che sta lavorando alla sensibilizzazione dei suoi concittadini: “cerco di spiegare loro che non dobbiamo affidarci solo alle negoziazioni perché procedono troppo lentamente”. L’obiettivo è avviare una nuova causa per il riconoscimento dei danni che le isole del Pacifico stanno subendo.Si è aperta, quindi, una nuova porta per rendere più incisive le richieste della società civile e la situazione è in costante evoluzione.
Intanto la Corte d’Appello di Hamm, rovesciando la decisione di primo grado, ha dichiarato ammissibile il caso Lliuya. Il prossimo appuntamento è per il 30 novembre.