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2020: anno record per le temperature globali. L’emergenza climatica non si arresta

Il 2020 è stato l’anno più caldo mai registrato a livello globale con impatti sempre più devastanti sugli ecosistemi e sulla vita dell’uomo. Il calo stimato delle emissioni di gas serra a causa della crisi economica indotta dalla pandemia del COVID-19 non è tuttavia sufficiente per perseguire gli obiettivi dell’Accordo sul clima di Parigi. Occorre una urgente e più ambiziosa azione da parte della comunità internazionale affinchè si possa cogliere l’occasione della crisi mondiale per apportare una modifica strutturale del sistema economico.

Di Roberto Barbiero, fisico e climatologo

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Il 2020 che lasciamo alle spalle non è solo stato l’anno del COVID-19 e della conseguente crisi che l’umanità si è trovata ad affrontare, ma si è trattato anche di un altro anno straordinario per il nostro clima.

Secondo i dati del programma europeo Copernicus[1], il 2020 è stato infatti l’anno più caldo, a pari merito con il 2016, con un’anomalia stimata di +1.25°C rispetto all’era pre-industriale. Le anomalie positive più evidenti si sono toccate nell’emisfero settentrionale, in Siberia e sull’Artico in particolare, confermando queste aree come quelle dove gli impatti del riscaldamento globale si stanno facendo sentire maggiormente. Gli incendi hanno consumato vaste aree in Australia, in Siberia, sulla costa occidentale degli Stati Uniti e nel Sud America. Sono stati registrati un numero record di uragani nell’Atlantico, inclusi uragani di categoria 4 senza precedenti in America Centrale a novembre che hanno causato ingenti danni alla popolazione. Le inondazioni, in alcune parti dell’Africa e del Sud-est asiatico, hanno portato a massicci spostamenti di popolazione e hanno minato la sicurezza alimentare per milioni di persone confermando purtroppo come il problema delle migrazioni climatiche stia assumendo dimensioni sempre più preoccupanti.

Anche per l’Europa il 2020 è stato l’anno più caldo mai registrato, tuttavia con maggiore variabilità tra le singole regioni. Ad esempio, per l’Italia è stato ancora più caldo della media, ma collocandosi al quinto posto dal 1800 con quasi 1°C di differenza rispetto alla media del periodo di riferimento 1980-2010[2].

A livello globale ci stiamo così avvicinando in modo drammatico alla soglia di 1,5°C in più rispetto all’era pre-industriale, oltre la quale potrebbero essere raggiunti limiti di sopportazione degli ecosistemi e la catastrofe climatica sarebbe inevitabile. “C’è almeno una probabilità su cinque che venga superata temporaneamente la soglia di 1,5 °C entro il 2024″, ha affermato Petteri Taalas[3], Segretario generale dell’Organizzazione Mondiale della Meteorologia.

Davanti a tale emergenza, l’azione della comunità internazionale per contrastare i cambiamenti climatici appare in forte ritardo. Quest’anno ricorre il quinto anniversario dell’Accordo sul clima di Parigi, ma gli impegni dei governi per ridurre le emissioni di gas a effetto serra sono del tutto insufficienti. “Non siamo sulla buona strada e sono necessari ulteriori sforzi”, ha ricordato Petteri Taalas.

Il Copernicus Atmosphere Monitoring Service (CAMS) ha evidenziato del resto che le concentrazioni nell’atmosfera di CO2, il principale gas serra, hanno continuato ad aumentare a un tasso di circa 2,3 ppm/anno anche nel 2020. E’ stato raggiunto un massimo di 413 ppm a maggio quando il mondo intero era bloccato dalla pandemia in atto.

L’Emissions Gap Report 2020 del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) conferma infatti che, nonostante il calo di circa il 7% nel 2020 rispetto all’anno precedente delle emissioni di anidride carbonica causato dalla pandemia COVID-19, il mondo si sta ancora dirigendo verso un aumento della temperatura superiore a 3 °C rispetto all’era pre-industriale, ben oltre quindi gli obiettivi dell’Accordo di Parigi che prevede di contenere il riscaldamento globale  “ben al di sotto di 2 °C e perseguendo gli sforzi per limitarlo a 1,5º C”. La pandemia favorisce infatti solo una riduzione a breve termine delle emissioni globali e comunque non sufficiente per gli obiettivi di riduzione sostanziale delle concentrazioni di gas serra presenti in atmosfera che necessitano di decenni per essere gradualmente assorbite dai sistemi naturali.

La ripresa dell’economia globale senza misure drastiche per il passaggio ad una economia low carbon, renderebbe così priva di significato la riduzione delle emissioni ottenuta a causa della pandemia.
Le misure prioritarie necessarie a garantire le trasformazioni a lungo termine per azzerare le emissioni nette entro la metà del secolo, includono il supporto alle tecnologie e alle infrastrutture a zero emissioni, la riduzione dei sussidi ai combustibili fossili e la promozione di soluzioni basate sulla gestione e l’uso sostenibile della natura, tra le quali il ripristino del paesaggio su larga scala e la riforestazione.

Azioni più ambiziose devono includere anche più profonde modifiche dei comportamenti nei consumi del settore privato specie per quanto riguarda i settori dei trasporti, del residenziale e dell’alimentazione. Ci sono numerosi esempi di come i governi possono promuovere stili di vita sostenibili ed evitare consumi ad elevato utilizzo di carbonio. Ad esempio, sostituire i voli nazionali a corto raggio con l’utilizzo di treni; fornire incentivi e infrastrutture per consentire l’utilizzo della bicicletta e il car-sharing, limitando al contempo le auto a benzina; estendere l’utilizzo delle energie rinnovabili; migliorare l’efficienza energetica degli edifici; promuovere politiche per la riduzione dello spreco alimentare[4].

Se appare incoraggiante il cambio di marcia promesso dagli Stati Uniti, che nel Piano Clima del nuovo presidente Biden ha annunciato di voler raggiungere l’obiettivo di emissioni zero al 2050, risultano estremamente ancora del tutto insufficienti le azioni concretamente messe in campo dai vari Paesi. Le nazioni sviluppate hanno la maggiore responsabilità: l’1% di quelle più ricche produce il doppio delle emissioni del 50% più povero della popolazione globale. I soli membri del G20 sono responsabili dell’80% delle emissioni globali di gas serra. Agire per il clima è quindi sempre più una questione di giustizia e di equità.

Viviamo oggi l’urgenza di agire per il clima nel contesto dell’emergenza COVID-19, che tuttavia deve essere letta anche come una straordinaria occasione per l’umanità di intraprendere un nuovo percorso. La pandemia rappresenta un monito che proviene dalla natura aggredita dall’azione predatoria dell’uomo che ne ha eroso gli spazi selvaggi, portando l’umanità in più stretto contatto con altre specie che possono così trasmettere le loro malattie alle persone. Poiché i fattori che determinano la perdita degli ambienti naturali e il cambiamento climatico sono spesso gli stessi, agire con decisione e rapidità sul clima può anche proteggerci da future pandemie. Sta a noi cogliere questa opportunità.


[1] “2020 warmest year on record for Europe; globally, 2020 ties with 2016 for warmest year recorded” (Copernicus – Climate Change Service)

[2] Dati dell’Istituto di scienze dell’atmosfera del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (Isac- Cnr)

[3] Provisional report on the State of the Global Climate 2020 (WMO)

[4] Emissions Gap Report 2020 del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP)