L’assordante silenzio di Macerata
Questa è Macerata come l’ha vista chi si è presentato ai Giardini Diaz il 10 febbraio: uno striscione, qualche bandiera, tantissime persone. Oltre 20000 manifestanti (numeri dichiarati dagli organizzatori) sono arrivati in una città fantasma e blindata dopo l’attentato fascista del 6 Febbraio e la manifestazione di Forza Nuova dei giorni successivi.
Il sindaco del comune marchigiano Carancini (PD) aveva ripetutamente espresso la sua preoccupazione per il concentramento di sabato, temendo che potesse esacerbare la tensione che era via via aumentata da quando il cittadino marchigiano Luca Traini ha ferito a colpi di pistola sei giovani migranti provenienti dall’Africa Sub-Sahariana (Mahamadou Toure, Jennifer Otioto, Gideon Azeke, Wilson Kofi, Festus Omagbon, Omar Fadera) presenti ad una pensilina dell’autobus. Nel frattempo, si sono misurati i tentativi di impedire la manifestazione da parte del Viminale e attraverso defezioni da parte del PD, dei quadri di ANPI, ARCI, CGIL, e Libera.
Invece, il corteo c’è stato. Hanno marciato decine di migliaia di persone comuni, uomini e donne maceratesi, neri, bianchi e andini, ragazzi e ragazze da centri sociali e collettivi da Roma, Napoli, Bologna e dal Nord-Est, numerosi movimenti e partiti tra cui Non Una di Meno, Legambiente, Fiom, No Tav, Potere al popolo, LeU, e la base popolare delle stesse associazioni che avevano annunciato la loro contrarietà alla partecipazione.
Una manifestazione da manuale: due camioncini con musica e microfono per dare voce ai diversi gruppi partecipanti, bandiere dei movimenti, striscioni e slogan (alcuni meno felici di altri). Ma soprattutto, c’era il lungo fiume di uomini e donne che ha pacificamente circondato la cittadella di Macerata in cui erano arroccate le forze di polizia nel timore di disordini e tafferugli che non si sono neanche lontanamente verificati. Un corteo decisamente pacifico e contenuto, sorprendentemente silenzioso, che ha espresso la volontà di respingere il terrorismo fascista e razzista con le armi della fermezza e della condivisione popolare.
Un silenzio ben diverso da quello che le istituzioni hanno riservato alla manifestazione. A partire dal sindaco Carancini che aveva fatto appello per non autorizzare la manifestazione, chiedendo tempo per la città di “ricucire lo strappo” sociale formatosi con l’attentato fascista di Traini. Continuando con la maggior parte della stampa che, in assenza di episodi di violenza con cui destare l’attenzione dei lettori, ha messo in rilievo un infelice slogan sulle foibe cantato da uno sparuto gruppo di ragazzi invece che l’imponente partecipazione dal basso al corteo. Culminando con l’imbarazzante reticenza del governo e del PD, grave indice dell’approccio incerto, da campagna elettorale, che la guida del nostro Paese attua di fronte ad alcuni dei più brucianti problemi della contemporaneità. Da ultimo arriva la sostituzione del questore di Macerata Vincenzo Vuono, responsabile di aver autorizzato il corteo, proprio due giorni dopo la manifestazione stessa.
Detto ciò, viene naturale chiedersi: che “strappo” vuole ricucire, esattamente, il sindaco Carancini? Quello tra ragazzi innocenti e un fascista dichiarato, sdoganato dalle folli parole della Lega e dal silenzio-assenso di tante forze politiche? Quello tra gli antifascisti e i fascisti? Pare un compito assai problematico. Di certo il PD e i tanti movimenti che dovrebbero essere i naturali portavoce dell’antifascismo stanno invece assordando la società civile con il loro ingombrante silenzio, che non ha nulla a che fare con la calma fermezza che così tante persone hanno portato in piazza a Macerata.