Lampedusa: viaggio verso l’isola che (non) c’è.
Sono partiti in una trentina, si tratta ormai di qualche mese fa ma ora sono qui con noi, ancora a portare la loro testimonianza, perché esperienze come le loro non si scordano e ciò che resta va raccontato il più possibile. Sono i ragazzi della (ormai ex) IV E del Liceo Scientifico Da Vinci di Trento. Sono loro che, attraverso le voci di Rocco Ruperti ed Elisa Feller, ci hanno parlato di quello che, da un semplice viaggio d’istruzione, si è trasformato in un’esperienza di vita indimenticabile e che ha permesso loro di conoscere più approfonditamente la realtà dei migranti a Lampedusa.
Scetticismo e sorprese
É Elisa a prendere la parola per prima: “É stato un viaggio insolito”, esordisce. “Tutti pensavamo che, come si usa fare per il viaggio di IV, saremmo andati all’estero, in una capitale europea. In realtà, all’inizio, pensando a Lampedusa eravamo un po’ scettici.” Anche Rocco conferma: “Eravamo scettici eccome!”, ride, “…fino a poche settimane prima di partire non avevamo nemmeno la certezza di avere i posti in aereo!”. E così iniziano i dettagli sul viaggio, ci raccontano che il progetto, partito dai professori Alberto Conci e Sandro Bertoni, prevedeva la partecipazione di tre classi (due “davinciane” e una del Liceo Musicale) e alcuni incontri preparatori di formazione. Tuttavia, le prime sperimentazioni hanno sempre i loro intoppi, così per problemi di voli e tempistiche le tre classi sono diventate due (col ritiro di una del Da Vinci) e la formazione si è trasformata nella lettura di libri che toccano il tema della condizione di Lampedusa. “Può sembrare un disastro ma è stato tutto il contrario!”, ricomincia Elisa, vedendo le nostre facce sorprese. “La formazione non ci é mancata, l’esperienza diretta è valsa mille volte di più, fin dal primo giorno le testimonianze e il luogo hanno demolito le nostre idee sbagliate!”. Rocco annuisce: “Prima di partire mi affidavo ai media, immaginavo Lampedusa come un’isola caotica, una specie di porto in cui l’andirivieni di migranti rende impossibile la vita della popolazione. Poi ho conosciuto la realtà, il vuoto, la calma, sono senza dubbio le cose che mi hanno colpito di più”.
Contatto diretto: parola ai protagonisti
Non potevano avvicinarsi al Centro di gestione dei migranti ma ne hanno conosciuti alcuni. “Su tutti i giornali é uscita la foto della nostra partita di calcio”, dice Elisa. “Ma è stato molto molto di più. I ragazzi ci hanno raccontato dei loro viaggi eterni. Alcuni di loro sono stati in giro più di un anno, partendo dalle loro case verso la Libia. Lì, minacciati e torturati, sono stati costretti a pagare fino a 10’000€ per imbarcarsi in quella che doveva essere una nave ma si rivelava un barcone o, spesso, un semplice gommone. Ed erano loro a doverlo portare auto fino in Italia, dato che venivano abbandonati dai trafficanti.” Le testimonianze sono state intense e provanti, oltre ai migranti, ci raccontano di aver conosciuto il falegname dell’isola (che trasforma le carcasse dei barconi in oggetti simbolici), il parroco e il dottor Bartolo, le cui testimonianze hanno permesso la realizzazione del film “Fuocoammare” di Gianfranco Rosi. “Abbiamo imparato molto”, interviene Rocco. “Innanzitutto ad avere pensiero critico, valutare bene le informazioni che ci arrivano dai media, e in secondo luogo a vedere questa situazione dal punto di vista di chi arriva e non solo dal nostro. Per questo siamo qui a raccontare e consigliamo a tutti un viaggio simile, l’esperienza, come già detto, ha più valore di mille parole.” Così ci salutano, dicendoci che ci terranno informati sugli incontri di restituzione che faranno (uno, probabilmente a settembre, a Bolzano é già certo), si vede nei loro occhi che la voglia di narrare sarà difficile da spegnere.