“Anch’io sono una migrante, può capitare a tutti noi”

di Chiara Zambelloni e Matteo Poda, articolista dell’Agenzia di Stampa Giovanile

Tra le tante attività che stiamo svolgendo durante le nostre prime giornate di COP24, ci siamo fermati a lungo a discutere di migrazioni, fenomeni climatici e dignità con la giornalista e professoressa universitaria della UMESP (Universidade Metodista de São Paulo) e della FAPCOM (Faculdade Paulus de Comunicação) in Brasile, Cilene Victor. Cilene, da vera professoressa e attivista, ci ha informato su uno dei temi a lei più vicini e ormai di rilevanza globale: le migrazioni interne.
Ma chi è dunque un IDP (Internally Displaced Person) o migrante interno? Gli IDPs sono persone che, come i richiedenti asilo, sono costrette a lasciare la loro casa principalmente a causa di conflitti o disastri naturali. Differentemente dai richiedenti protezione internazionale, gli IDPs non lasciano il loro paese d’origine, ma decidono di cercare un posto sicuro all’interno dei confini del loro stato. Le cause di questa scelta possono essere diverse, per esempio, non avere possibilità economiche e fisiche per compiere il viaggio o per la volontà di rimanere vicino a casa nel caso la situazione migliori in futuro.

Essere un IDP ha conseguenze gravi sul piano legislativo, in quanto a differenza dei richiedenti asilo, essi non possono ottenere protezione internazionale, ma devono fare affidamento solo sull’aiuto del proprio governo. Per questo, gli IDPs sono tra le categorie più a rischio tra i migranti. La vera gravità della situazione si trova nel fatto che, oggi, sono presenti nel mondo il doppio di IDPs rispetto ai rifugiati, anche se sono i secondi ad essere al centro dell’attenzione mediatica.

Secondo il GRID 2018 (Global Report on Internal Displacement), documento pubblicato dall’IDMC (Internal Displacement Monotoring Centre), che si occupa tutti gli anni di dare informazioni sulle migrazioni interne dovute a conflitti e disastri in 143 stati e territori, nell’anno 2017, 30,6 milioni di persone di tutto il mondo si sono aggiunte, solamente in quell’anno, al numero già altissimo di migranti interni. Cilene ci ha mostrato tuttavia, come il dato più importante di questo report si trovi nel fatto che solamente il 39% dei migranti sono stati allontanati a causa di guerre e violenza, mentre il 61% sono diventati sfollati a causa di problemi legati al clima come inondazioni, cicloni, frane, ecc.

Per questo motivo, la giornalista si è concentrata nei suoi studi e nelle sue ricerche sul tema della Riduzione Rischio Disastri. La situazione del Brasile infatti è considerata una della più drammatiche tra i paesi dell’America Latina, con un numero di sfollati ambientali che ammonta a 71.000 solamente nel 2017 e un minimo di 5 disastri in media all’anno.

Cilene è particolarmente impegnata a mostrare con i suoi reportage come il cambiamento climatico sia spesso messo in secondo piano sia dall’attenzione dei media e dall’opinione pubblica, sia nell’agenda dei decisori politici a livello locale e mondiale.
Per questo motivo, ci ha menzionato vari documenti adottati dalla Nazioni Unite, tra cui il Sendai Framework for Disaster Risk Reduction, una struttura di regole adottata nel 2015 in Giappone che invita gli stati a ridurre la perdita di vite e di risorse investendo in modo adeguato sia sulla preparazione, che sulle policy di emergenza in caso di disastri. Cilene ha sottolineato più volte come moltissime delle discussioni internazionali sul clima producano bellissimi accordi che non sono però vincolanti per gli stati firmatari.

Partendo da questo punto di vista, la donna sostiene che il cambiamento non può partire dai governi, ma da noi stessi: “Due anni fa il Segretario Generale dell’ONU Ban Ki-Moon ha detto che dobbiamo guardare alla radice del problema ed il cambiamento climatico è solo una parte di esso”. Secondo la giornalista, infatti, “il vero problema è morale, è il panico morale di cui soffre la società e di cui parla il filosofo Stanley Cohen, descritto come la mancanza di empatia nei confronti degli altri e la preoccupazione solo di quello che succede nella mia vita”.

Ci porta, ad esempio, il caso del suo Brasile, dove molte persone risultano insofferenti verso il flusso di venezuelani che spingono sul confine, scappando dal governo Maduro e dalla grave crisi economica e soprattutto verso gli stessi brasiliani poveri che si spostano da una città all’altra a causa delle inondazioni. “Se sentissi che i cambiamenti climatici cambiano la tua vita, allora ti importerebbe”, ci racconta.

Per Cilene, quindi, non è un problema di conoscenza ed informazione quello che spinge molti paesi verso politiche anti migratorie. La conoscenza c’è, ma da sola non basta. Ciò che serve è la comprensione, concetto che va molto oltre la mera conoscenza di un fenomeno. Comprensione come sentimento di appartenenza al mondo, della condizione dell’altro. Possibile però solo se ci mettiamo sul suo stesso piano: siamo troppo abituati a considerare la condizione di alcuni paesi afflitti da crisi di varia natura come realtà lontane da noi.

Senza nascondere una certa emozione, ci mostra un video di una donna sfollata in Siria. “Lei era una professoressa, proprio come me e anche io sono stata una sfollata!”. La sua famiglia infatti ha dovuto spostarsi quando aveva solo 2 anni, perché la zona a nord del Brasile dove viveva era molto povera ed afflitta da una continua siccità.

Se è vero che la gente si sente sostanzialmente lontana dalle problematiche del cambiamento climatico, è anche vero che esistono dei segnali che potrebbero aiutarci a capirle meglio, ed attirare l’attenzione dei popoli che ne risentono meno: ad esempio, nel 2014 la grave siccità di San Paolo in Brasile, che ha rischiato di lasciare la città senz’acqua, può essere comparata in misura minore alla situazione di Roma che, negli ultimi anni, ha rischiato spesso di dover chiudere i rubinetti ai cittadini, come successo nell’estate del 2017.

“Voi dovete mantenere la vostra dignità, ma la vostra dignità è in stretta relazione con quella degli altri. Io come professoressa ho un ruolo molto importante, ed anche come giornalista e sto cercando di diffondere questo insegnamento”. Cilene ci saluta ricordandoci come sia importante fare ciò che possiamo fare e farlo ora. “Siamo qui non per cambiare l’oggi ma il futuro, però ci vuole sempre qualcuno che cominci”.

Per finire auguriamo dunque buona fortuna alla nostra Cilene Victor che si recherà il 10 e l’11 dicembre a Marrakech per il vertice promosso dalle Nazioni Unite, dove dovrebbe essere approvato il Global Compact for Migration (GCM), un documento che deve dare una risposta globale al fenomeno delle migrazioni. Quando le abbiamo chiesto se fosse preoccupata rispetto alla situazione politica attuale e al ritiro annunciato di molti stati come l’Italia e gli Usa, così come per la politica del nuovo presidente del Brasile Bolsonaro, la sua risposta è stata: “Andrò con molta fede”. Cilene sostiene che è proprio in risposta a parole di odio e ignoranza che altre figure politiche mondiali devono intervenire per mettere in luce la verità e il bisogno di solidarietà non solo per i migranti interni, ma per tutti i rifugiati. Leader di tutto il mondo siete stati avvisati, iniziate anche a voi a combattere come Cilene!