Dopo la morte di 19 migranti per ipotermia, torna a farsi sentire il dibattito sull’immigrazione e sugli accordi Turchia-UE. Foto: Unsplash

Le “crisi di confine” che fanno vacillare la nostra umanità

Quanti uomini perdono la vita attraversando un confine? E perché i confini si trasformano immediatamente in muri pericolosi e insormontabili? Ciò che accade in Turchia sembra avere la risposta a queste domande.

Di Nuvola Cipressa, articolista di Agenzia di Stampa Giovanile

Alla tragica notizia di 19 migranti morti di ipotermia mentre tentavano di passare il confine tra Turchia e Grecia, le reazioni sono state diverse e disarmoniche tra loro. Il ritrovamento dei corpi senza vita nel villaggio turco Pasakoy tra il 2 e il 3 febbraio, ha innescato una sorta di scarica barile, un passo facilmente prevedibile.

Il ministro greco delle migrazioni Notis Mitarachi ha immediatamente negato la possibilità che fossero state le guardie greche ad aver respinto con forza i migranti e quindi a provocarne indirettamente la morte. Nell’eliminare ogni colpa, Mitarachi ha colto l’occasione per criticare l’operato dell’amministrazione turca: “La Turchia dovrebbe impedire ai migranti di avvicinarsi alla zona di confine e intraprendere viaggi pericolosi”.

A questo punto sembra necessario ribadire che il pericolo arriva nel momento in cui il confine diventa una linea armata con forze dell’ordine addestrate per respingere esseri umani. In questo dibattito scatenato dall’accusa di Mitarachi, si inserisce Safa Msehli, portavoce dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni, che ha dovuto ripetere a gran voce quanto queste pratiche siano disumane e, soprattutto, vietate dal diritto internazionale. Le parole di Safa cadono nel vuoto, perché in questo momento l’obiettivo del dibattito è solo attribuire la colpa a qualcuno.

L’amministrazione turca non sembra particolarmente scossa dall’accaduto, ormai le problematiche relative all’immigrazione in Turchia sono diventate una vera e propria routine. Non considerando la Turchia una nazione europea, spesso la accantoniamo e pensiamo di poter ignorare le pratiche che avvengono ogni giorno sui confini turco-europei. Seguendo questa linea, sulla tragedia del 2 febbraio, l’ambasciatore per l’UE in Turchia, Meyer-Landrut, si è limitato ad affermare che bisognerà trovare delle soluzioni per evitare che drammi del genere accadano in futuro. Con il termine “soluzioni” in genere l’UE si riferisce a “fondi in denaro”; l’ambasciatore ricorda infatti che l’UE ha stanziato 3 miliardi di euro aggiuntivi per aiutare Ankara nella gestione dei migranti. L’Europa infatti, riconosce ad Erdogan il grande peso di cui si è fatto carico insieme alla sua nazione: 5 milioni di rifugiati. Per ringraziare di questo “favore” l’UE continua a saldare miliardi alla Turchia; nella visuale internazionale questo accordo serve a trattenere, almeno in parte, la crisi migratoria fuori dalle porte europee.

La logica di questo discorso, condiviso da Erdogan e dall’UE, ignora che in questi scambi di favori e miliardi vi sia in gioco la vita di milioni di esseri umani. La Turchia, infatti, non accoglie, ma trattiene i migranti. Le politiche turche sull’immigrazione non sono affatto favorevoli ai rifugiati che vogliono costruirsi una nuova vita nel Paese. Tanju Ozcan, sindaco della città di Bolu, è noto per le sue politiche anti-migratorie: recentemente ha alzato a 100 mila lire turche (circa 7300 euro) la tassa per gli stranieri che volessero sposarsi nel comune. Anche le bollette dell’acqua risultano più alte per gli stranieri, di 2,5 dollari per metro cubo. Avvengono inoltre discriminazioni anche in base alla nazionalità dei migranti: i rifugiati siriani non possono allontanarsi dalla località di residenza accertata e non hanno pieno accesso al mercato del lavoro.

La Turchia sta inoltre attraversando una cruenta crisi economica. Il Paese è stato fortemente colpito dall’emergenza sanitaria, e la situazione, già drammatica nel 2019, sembra essere in caduta libera. Questi fattori influenzano fortemente l’opinione pubblica, che nei momenti di grave difficoltà è preda facile per populisti, e finisce per attribuire la colpa a rifugiati e immigrati. La maggior parte della popolazione turca esprime frequentemente frustrazione per la presenza dei migranti, e questo sentimento aumenta esponenzialmente con la crisi economica e la svalutazione della lira turca. I pilastri di questa crisi sociale ed economica mettono in pericolo anche i fragili rapporti con l’UE: Ankara sembra non essere più disposta a mitigare le ondate migratorie per l’Europa, e in questa eterna partita a scacchi si continuano a perdere vite umane. Il ministro dell’interno turco ha firmato un memorandum d’intesa a Teheran per prevenire l’immigrazione illegale dall’Iran, al cui confine dal 2017 è in costruzione un muro che potrebbe essere lungo da 300 a 543 km.

Nell’analizzare le cause, gli effetti e le possibili soluzioni della crisi migratoria, perdiamo di vista l’obiettivo unico e fondamentale: salvare vite umane. Se i Paesi continueranno a vedere numeri e non persone alle porte dei loro confini, questa crisi non farà altro che acuirsi per sfociare in un mare di disumanità.