Dalla COP28 alla COP zero

In questo racconto il giornalista ambientale si chiede: “Vogliamo davvero che la prossima sia la COP29? E se l’anno prossimo ci fosse di nuovo la COP27? E poi di nuovo la COP26, così fino a COP zero, come un conto alla rovescia?”

di Ferdinando Cotugno*

Stare dentro la COP in queste settimane è come trovarsi dentro un’astronave. Questo non è solo un esperimento diplomatico, è anche un esperimento umano. Centomila persona che si ritrovano ogni anno da trent’anni in un paese diverso per risolvere il più grande problema che l’umanità abbia mai affrontato. Una comunità che si allarga ogni anno e ogni anno diventa più strana: di fronte a me un ragazzo sta gesticolando forte rivolto a un microfono, poco fa ho visto un tizio vestito da Babbo Natale che teneva una conferenza stampa improvvisata ai giornalisti che avevano voglia di ascoltarlo, un altro viene ogni giorno vestito da ciclista, tutto di verde, è partito da aprile per esserci, in bicicletta. Dalla Germania. Ci sono delle regole non scritte che tutti rispettano. Per esempio: se vedi qualcuno che sta dormendo per terra, lascialo dormire, non fare rumore.

Penso sempre di più che a bordo dovrebbero salire anche scrittori, registi, musicisti, per vedere cosa succede qui dentro, e tramandarlo, sia in caso di vittoria che in caso di sconfitta. Per raccontare cosa ha significato vincere o cosa ha significato perdere. Pensavo anche ai numeri. Ieri ti dicevo che non sappiamo ancora dove si terrà la COP29, se in Bulgaria, in Azerbaijan, a Bonn, sulla Luna. Poi in un momento di lisergica stanchezza ho pensato: vogliamo davvero che la prossima sia la COP29? Chi ha deciso che i numeri devono per forza crescere all’infinito? E se l’anno prossimo ci fosse di nuovo la COP27? E poi di nuovo la COP26, così fino a COP zero, come un conto alla rovescia.

Forse dobbiamo riconoscere che non abbiamo preso abbastanza sul serio l’urgenza di questo processo, i numeri che crescono sono riposanti, è come aver piantato qualcosa e aspettare che cresca, forse abbiamo bisogno di una clessidra e del senso di vera angoscia che ti dà solo un conto alla rovescia. La COP zero si terrebbe da qualche parte intorno al 2050, proprio quando avremo le idee molto più chiare su aver davvero azzerato le emissioni oppure no. E magari alla COP zero del 2050-circa non ci sarebbe più bisogno di negoziare, potremmo semplicemente fare quello che ci meritiamo, una festa diffusa, con i barili di petrolio svuotati, i pozzi chiusi, i giacimenti liberi, in cui parlare solo di adattamento, ma non più di mitigazione, perché avremo finalmente mitigato. Se hai idee per quella festa fammi sapere, intanto questo è il numero 7 di Areale da Dubai, cominciamo.

* Articolo pubblicato originalmente sulla Newsletter Areale sull’ambiente a cura di Ferdinando Cotugno. Cotugno è giornalista, si occupa di clima, ambiente, ecologia, foreste. Ha un podcast sui boschi italiani, “Ecotoni”, sullo stesso argomento ha pubblicato il libro “Italian Wood” (Mondadori, 2020). È inoltre autore di “Primavera ambientale. L’ultima rivoluzione per salvare la vita umana sulla Terra” (Il Margine, 2022).