COP28: Green Climate Fund, un portafoglio ancora troppo vuoto

Questo lunedì, quinto giorno di COP28 e seconda giornata tematica, è stato dedicato al tema della finanza climatica, scottante e di particolare interesse in questa edizione. In questo articolo vi spieghiamo, in modo semplice, alcuni elementi fondamentali per capire in che direzione stiamo andando, e in particolare il Green Climate Fund e l’ultimo rapporto del gruppo di esperti indipendenti di alto livello sui finanziamenti per il clima.

di Sofia Farina 

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Dopo le prime giornate dedicate ai discorsi dei capi di governo e di Stato, alla COP28 si è entrati nel vivo delle negoziazioni e dei lavori, con una tabella di marcia stabilita dalle giornate tematiche. Domenica è stata dedicata, per la prima volta nella storia delle Conferenze delle Parti, alla salute e agli impatti del cambiamento climatico su di essa, mentre oggi la settimana è iniziata con la giornata dedicata alla finanza climatica, un tema scottante e di particolare interesse in questa edizione. 

Il Green Climate Fund

L’evento del Green Climate Fund (GCF), il fondo verde per il clima, ha visto sul suo palco interventi di grande calibro, tra cui quelli di Simon Stiell, Segretario esecutivo delle Nazioni Unite per il cambiamento climatico, e di Mafalda Duarte, direttore esecutivo del GCF stesso. 

Il GCF aveva già iniziato ad occupare le pagine dei giornali di tutto il mondo nei primi giorni di COP28, grazie agli annunci altisonanti dei nuovi contributi ad esso da parte, ad esempio, degli Stati Uniti, con 3 miliardi promessi dalla vicepresidente Kamala Harris, e l’Italia con i 300 milioni dichiarati da Meloni.

Per fare un breve ripasso, il GCF è stato istituito come meccanismo di finanziamento dell’Accordo di Parigi ed è diventato il più grande fondo per il clima esistente. Il suo mandato è di promuovere un cambiamento di paradigma verso percorsi di sviluppo a basse emissioni e resilienti al clima nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo. Il Fondo ha un portafoglio di 13,5 miliardi di dollari (51,8 miliardi di dollari incluso il cofinanziamento) per realizzare azioni trasformative per il clima in oltre 120 Paesi con impatti su più di 900 milioni di persone. Infine, ha un programma di sostegno che costruisce resilienza e capacità e che aiuta i Paesi a sviluppare i propri NDC per combattere il cambiamento climatico. Gli NDC sono i piani nazionali non vincolanti che i governi attuano come contributo per raggiungere gli obiettivi globali stabiliti nell’Accordo di Parigi. 

Ciò che è fatto finora non è abbastanza

“La semplice idea alla base del GCF è una delle migliori idee critiche che abbiamo avuto nella lotta contro il cambiamento climatico. La finanza è il grande motore dell’azione per il clima. Fornendo finanziamenti a fondo perduto ai Paesi in via di sviluppo, si possono far decollare sia i progetti di mitigazione che quelli di adattamento. Crea slancio. Fa leva sulle sovvenzioni per moltiplicarne l’impatto. Aiuta i Paesi in via di sviluppo a creare ambizione nei loro Contributi Nazionali Determinati e nei loro Piani Nazionali di Adattamento”, sostiene Simon Stiell durante il suo intervento. Oltre ad elogiare il Fondo, il Segretario dell’UNFCCC ha anche sottolineato la complessità della sua gestione: “Costruire e gestire un fondo che fornisce finanziamenti a decine di settori diversi come l’agricoltura, le infrastrutture idriche, l’energia o la protezione dall’erosione è molto complesso.”

Sia Still che Mafalda Duarte hanno celebrato i successi ottenuti e il lavoro svolto dal fondo fino ad ora, così come le recenti conquiste dei finanziamenti promessi negli ultimi giorni. Per contro, hanno anche sottolineato, con decisione, come sia necessario aumentare nettamente le risorse e accelerare i processi di finanziamento.

“Se continuiamo a lavorare nello stesso modo, continueremo a ottenere lo stesso tipo di risultati. Abbiamo svolto un lavoro valido, abbiamo ottenuto risultati sul campo, ma non alla scala e alla velocità necessarie”, ha dichiarato Duarte. Secondo il direttore esecutivo del GCF è evidente che “non stiamo mobilitando sufficienti capitali privati e che stiamo lasciando indietro molte persone vulnerabili, soprattutto nelle zone più fragili del mondo. Purtroppo la fragilità non è destinata a diminuire, ma ad aumentare. Abbiamo molteplici crisi che si susseguono e si alimentano a vicenda”. 

Sulla stessa linea, Stiell ha dichiarato che “il fondo non è ancora vicino a raggiungere una dimensione proporzionale alla domanda di alta qualità proveniente dai Paesi in via di sviluppo. Ciò significa un più ampio bacino di contributori. Per troppo tempo ci siamo affidati a un piccolo gruppo di Paesi per fornire la maggior parte dei finanziamenti. Un maggior numero di Paesi dovrebbe ritenere nel proprio interesse contribuire. Sarà un contributo al nostro futuro comune. Alla nostra prosperità condivisa”.

Il report “A climate finance framework

Oggi si è anche tenuta la conferenza stampa di presentazione del secondo report del gruppo di esperti indipendenti di alto livello sui finanziamenti per il clima (che, se volete, potete leggere per intero qui: https://www.lse.ac.uk/granthaminstitute/wp-content/uploads/2023/11/A-Climate-Finance-Framework-IHLEG-Report-2-SUMMARY.pdf). 

Nel report, c’è anche un paragrafo sullo stato attuale della finanza per il clima. Si afferma che l’importo dei finanziamenti globali per il clima è più che triplicato negli ultimi dieci anni, raggiungendo 1,27mila miliardi di dollari nel 2021/22, ovvero circa l’1% del PIL mondiale. Viene anche però sottolineata l’insufficienza degli attuali fondi, così come le importanti carenze dal punto di vista dei Paesi meno sviluppati: i finanziamenti per il clima sono concentrati nelle economie sviluppate e in Cina, e nella mitigazione piuttosto che nell’adattamento. Inoltre i finanziamenti privati sono insufficienti, per la maggior parte rimangono nel paese di origine, e i finanziamenti per il clima vengono erogati principalmente sotto forma di debito. Ci sono anche critiche di lunga data sulla mancanza di trasparenza su come vengono misurati ed erogati i finanziamenti per il clima. 

Già nel rapporto precedente, presentato a COP27, era stato dichiarato che per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sono necessari 2,4mila miliardi di dollari all’anno entro il 2030, da destinare alle economie emergenti e ai Paesi in via di sviluppo, esclusa la Cina. Il nuovo rapporto dettaglia meglio questo obiettivo, suddividendolo nelle diverse aree di investimento. Nello specifico, si legge che saranno necessari 1,5mila miliardi di dollari per la transizione energetica, 250 milioni per adattamento e resilienza, 300 milioni per perdite e danni, 300 milioni per capitale naturale e agricoltura sostenibile e 50 milioni per la transizione giusta.

Il cambio di paradigma che viene auspicato continuamente e costantemente negli eventi e nelle conferenze della COP, è quello che che dovrebbe portarci a vedere questi non come costi, ma come investimenti per riuscire a vivere in un pianeta più abitabile e sostenibile per tutti e tutte. Per dirlo con le parole di Stiell: “Dobbiamo abbandonare l’idea che i finanziamenti ai Paesi in via di sviluppo siano carità o aiuti allo sviluppo. Finché pensiamo ai finanziamenti per il clima in questo modo, essi rimangono vulnerabili. Possono essere tagliati non appena le considerazioni politiche interne lo impongono. Dobbiamo invece considerare gli investimenti per la mitigazione e l’adattamento al clima come un interesse personale illuminato. Il cambiamento climatico non si preoccupa del nord o del sud e nemmeno noi dovremmo farlo. Siamo sulla stessa barca che affonda, e chi ha più giubbotti di salvataggio deve fornirne qualcuno agli altri.”