Il lettore perduto e il potere della bibliomanzia
Su come scoprire il magico potere di leggere se stessi e l’universo attraverso i libri.
Di Rita Qualtieri, articolista dell’Agenzia di Stampa Giovanile
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La narrazione di alcuni romanzi comincia sulla goffratura della copertina, che la mano ricerca come la prima carezza appesa sull’orlo del desiderio. Il lettore perduto, ovvero colui che viaggia senza apparente meta tra le lande letterarie, scopre al tatto la mappa delle parole già al primo tocco della sua opera e sedotto, ad essa si arrende.
La letteratura tutta dispone di un potere divinatorio e, se interrogata opportunamente, sa rivelare verità inconfutabili, sa generare conforto e circonda il lettore di una sostanza tenace intrisa di sopportazione e di attesa, proprio come una religione, come il vino e come l’amore che volendo, sono un poco la stessa cosa.
Allora capita di frequente al lettore perduto di indagare l’essenza profetica delle parole e di preparare con essa una sorta di rituale del tè in cui interpretare i gorghi dell’infuso.
Gli capitadi smazzare le pagine di un libro apparso o ricomparso per “caso” dentro una pila di volumi trascurati e leggendo un passo di Domani nella battaglia pensa a me di Javier Marías, impara che il Caso non esiste e che tutto procede su una precisa linea immaginaria costruita solo per noi:
“[…] tutto procede incessantemente come in una catena, alcune cose trascinano le altre e si ignorano tutte tra loro, tutto procede incessantemente verso il loro sfumare lentamente non appena si è verificato e perfino mentre avviene, e perfino mentre lo si aspetta e non è ancora avvenuto, e si ricorda come passato ciò che ancora è futuro e forse finirà per non concludersi, si ricorda ciò che non è stato”.
“[…] Quello che conta” scrive Alain De Botton nel suo romanzo Il corso dell’amore, “piuttosto, è l’intuizione, un sentimento spontaneo che sembra tanto più preciso e degno di rispetto perché aggira i normali processi della ragione” e offre, in buona sostanza, al lettore “la sensazione di essersi imbattuto in una parte di sé perduta tanto tempo prima”.
Allora costui entra in comunione con il libro e, improvvisamente si lascia pervadere da un lento processo di osmosi su verità universali tanto evidenti quanto inarrivabili.
Perché, dunque, interrogare una storia? Perché indagare, ricercare, scoprire anche ciò che non si è disposti ad accogliere ed accettare? Lo spiega ancora Alain de Botton attraverso le parole di Proust, nel suo libro Come Proust può cambiarvi la vita:
“In realtà, ogni lettore quando legge, è il lettore di sé stesso. L’opera è solo una sorta di strumento ottico che lo scrittore offre al lettore per consentirgli ciò che forse, senza il libro, non avrebbe visto in sé stesso. Il riconoscimento dentro di sé, da parte del lettore, di ciò che il libro dice, è la prova della sua verità.”
Leggere per rivelare, per incontrare sé stessi e per riscrivere le pagine più confuse e incerte della propria esistenza. Leggere per dischiudere l’uscio della seconda vita, quella della lentezza e della perfezione in cui il lettore perduto incontra l’incanto della storia universale che comprende, ama e perdona.
Esistono pagine estatiche e radiose che entrano improvvisamente in scena all’ultimo atto del nostro destino, quando la vita, le esperienze, i dolori, gli amori e le delusioni si solidificano in un mulinello di rivelazioni disarmanti. In esse sentiamo affiorare il coraggio per abbandonare la zavorra che ci àncora alle disillusioni e la forza per credere, tuttavia, nel miracolo dell’attesa. E il miracolo dell’attesa è delineato dalle parole lievi di Antonio Tabucchi in Si sta facendo sempre più tardi:
“Però può succedere che il senso della vita di qualcuno sia quello, insensato, di cercare delle voci scomparse, e magari un giorno di credere di trovarle, un giorno che non aspettava più, una sera che è stanco, e vecchio, e suona sotto la luna, e raccoglie tutte le voci che vengono dalla sabbia. E un miracolo, pensa, non è perché noi non abbiamo bisogno di miracoli, li lasciamo volentieri agli altri. E allora, pensi, è solo un’illusione, una miserabile illusione, che tuttavia per un attimo, finché hai suonato quella musica, è stata vera davvero. E solo per quella hai vissuto la tua vita e ti pare che questo dia un senso all’insensatezza, non credi?”
Così la vita scorre proprio come le pagine di un romanzo abbandonato o interrotto perché il tempo non era maturo. Le parole fluiscono costruendo immagini di sentieri illuminati dal lampo della scoperta. Il lettore perduto sente pulsare gli strati sopiti della sua percezione. Le distanze tra i piani della realtà e quelli del desiderio e dell’invocato si accorciano e inizia a sublimare nel cuore la presenza dei sogni. Il lettore perduto che si annida in ciascuno di noi sente che può finalmente abbandonare gli abissi della solitudine individuale e dell’incomprensione per condividere un sentimento cosmico attraverso le pagine soavi di Giura di Stefano Benni:
“Tutti coloro che ami sono altro da te. Conoscerai solo una piccola parte dei loro pensieri, e loro non conosceranno i tuoi. Avranno gioie e pene in cui tu non sei compreso, e giorni e notti in cui non sarai presente nelle loro emozioni. La loro storia è piena di ore che ti resteranno nascoste. È meraviglioso averli vicino, ma la loro vita non ti appartiene. Ascolta la pena che provi quando vi allontanate per un attimo, o per lungo tempo. Capirai quanto sarà triste perderli per sempre, o quando loro ti perderanno. Per ciò che manca al vostro amore, amali di più”.
Forse vale la pena tentare di salire la scala a pioli dell’ignoto. Potremo arrivare ad una stella o restare a brancolare ancora nel buio, ma sempre più vicini all’alba della conoscenza. Forse il lettore perduto che vive in ognuno di noi può scoprire, percorrendola quella scala, che anche Barney Panofsky, ormai vecchio e smemorato,è capace di imprese straordinarie come l’amore e l’eterno e la trasformazione che Mordecai Richler racconta nel suo sagace La versione di Barney:
“A un certo punto mi ha preso la mano sotto il tavolo e ha detto che ero la donna più bella che avesse mai visto, e che una volta aveva osato sperare che saremmo morti insieme a novant’anni, come Filemone e Bauci e che uno Zeus misericordioso ci avrebbe trasformati in alberi, con i rami che in inverno si tengono caldo a vicenda, e le foglie che in primavera si intrecciano”.
Così il lettore perduto custodisce esistenze silenziose e paesaggi dell’anima distesi tra le rimembranze. Una pagina, a volte, può rappresentare la chiave smarrita.
OPERE CITATE
J. Marías, Domani nella battaglia pensa a me, Einaudi, 1998
A. de Botton, Il corso dell’amore, Guanda, 2016
A. de Botton, Come Proust può cambiarvi la vita, Guanda, 1998
A. Tabucchi, Si sta facendo sempre più tardi, Feltrinelli, 2001
S. Benni, Giura, Feltrinelli, 2020
M. Richler, La versione di Barney, Adelphi, 1997