Nel 2030 probabilmente consumeremo 2 pianeti all’anno

Questione ambientale: a che punto siamo?

L’estate ci ha mostrato indubbiamente gli effetti che il cambiamento climatico sta avendo sull’ambiente e sulle nostre vite. Mentre le lancette del Climate clock continuano a scorrere, inesorabili, vediamo quali sono le decisioni che stanno prendendo due delle principali realtà mondiali attuali, Europa e Stati Uniti.

di Gloria Malerba, articolista di Agenzia di Stampa Giovanile

1,75 pianeti: la quantità che, secondo la Global footprint network (Gfn), l’organizzazione che si occupa di contabilità ambientale, la popolazione mondiale sta attualmente consumando.

Cifra che ci si aspetta continui a salire, fino a raggiungere i 2 pianeti entro il 2030.

In effetti, lo scorso 28 luglio le risorse che potevano essere rinnovate dalla Terra nel corso di quest’anno sono state esaurite e dal giorno successivo si sono cominciate a sfruttare quelle del 2023.

È il cosiddetto Overshoot day, calcolato dalla stessa Gfn, che ha anche messo in luce come ogni anno esso arrivi sempre più in anticipo rispetto a quello precedente.

Stiamo consumando sempre più risorse rispetto a quelle che avremmo a disposizione.

Questo dato è un chiaro indicatore dell’impossibilità di sostenere gli attuali ritmi di sfruttamento e inquinamento del Pianeta e della connessa grave crisi climatica che ci troviamo e ci ritroveremo a fronteggiare nei prossimi anni.

Un video che spiega cosa significa l’Overshoot Day

L’estate 2022 verrà ricordata come l’estate in cui gli effetti della crisi climatica si sono resi concretamente visibili, con ondate di caldo sempre più lunghe e frequenti.

Crisi idrica, siccità, alluvioni, incendi: sono solo alcuni degli eventi più estremi sviluppatosi negli ultimi mesi e la situazione è destinata a peggiorare.

Ma quali sono le decisioni prese dai governi per cercare di arginare questa grave realtà, sottostimata ancora da molti?

In Europa la transizione verso un’economia più sostenibile è diventata una necessità non solo a causa della crisi climatica in atto, ma anche a causa delle politiche praticate dalla Russia, dopo che, a febbraio, ha invaso il territorio ucraino. Decisione che ha portato, tra le altre cose, ad un aumento generalizzato dei prezzi dell’energia.

Lo scorso 26 luglio, in una riunione straordinaria del Consiglio dell’Unione Europea tenutasi a Bruxelles, i ministri dell’energia dei paesi membri hanno raggiunto un accordo per ridurre il consumo di gas naturale del 15% entro il 31 marzo 2023.

L’accordo, approvato da tutti i paesi tranne l’Ungheria, si basa una collaborazione volontaria da parte dei singoli Stati, che, però, diventerà obbligatoria nel caso di situazioni d’emergenza.

In particolare, nel caso in cui la Russia dovesse decidere di ridurre le forniture di gas in maniera insostenibile.

Più in generale, nel maggio del 2022, la Commissione Europea ha presentato il cosiddetto piano REPowerEu, con l’obiettivo di rendersi totalmente indipendente dal punto di vista energetico entro il 2027, eliminando progressivamente la dipendenza dai combustibili fossili russi.

Il piano prevede una serie di misure raccomandate ai vari Stati:

• Passare dal gas a combustibili alternativi, preferibilmente energie rinnovabili e nucleare.

• Incentivare la riduzione dei consumi in tutti i settori, pubblici e privati.

• Aiuto reciproco da parte degli Stati membri in caso di interruzione delle forniture.

Il REPowerEU, però, ha sollevato dubbi all’interno della Corte dei conti europea.

Esso si basa su investimenti che richiedono 210 miliardi di euro, ma, in realtà, il denaro disponibile sarebbe molto meno. Infatti, la Commissione controlla direttamente circa 20 miliardi di euro, mentre la possibilità di usare il resto dei finanziamenti dipende dalla volontà dei singoli Stati.

Nel frattempo, in uno dei maggiori emettitori di CO2 nell’atmosfera, gli Stati Uniti, il piano per il clima, facente parte di un più grande pacchetto (l’Inflation Reduction Act), presentato dall’attuale presidente Joe Biden rischiava di essere bocciato.

Il disegno di legge si concentra, oltre alla questione climatica, anche su una riforma del sistema sanitario e fiscale.
Per quanto riguarda il problema climatico, esso prevede lo stanziamento di 385 miliardi di dollari di investimenti in energia pulita con l’obiettivo di ridurre le emissioni degli Stati Uniti del 40% rispetto ai livelli del 2005. Un obiettivo vicino alla volontà annunciata dal presidente di tagliare le emissioni di almeno il 50% entro il 2030.

Il piano prevede incentivi da dare sia alle industrie private sia alle famiglie, per far sì che siano spinte ad utilizzare maggiormente energia rinnovabile e ridurre i consumi.

Tra le altre cose, il pacchetto per il clima prevede: investimenti in energia pulita, riduzione delle emissioni di metano, investimenti nella produzione e diffusione di componentistica per eolico e solare, batterie, energia nucleare, produzione di idrogeno, di veicoli elettrici e di sistemi di riduzione delle emissioni.

La proposta di legge, ancora in attesa di approvazione effettiva al Senato e alla Camera, stava per essere bocciata a causa dell’opposizione di un senatore democratico, Manchin.

Egli, in un primo momento, aveva manifestato la sua opposizione al piano precludendo ai democratici dall’ottenere la maggioranza in senato.

In effetti, l’attuale senatore per la West Virginia, Stato la cui economia dipende principalmente dal carbone, è stato definito come “il più repubblicano dei democratici”: si vanta di aver votato il 74% dei provvedimenti dell’ex presidente Donald Trump e di aver parlato più che con lui che con Barack Obama.

Nonostante alla fine abbia deciso di dare il suo sostegno, il senatore è riuscito comunque a strappare delle concessioni. È riuscito sia a diminuire la cifra degli investimenti precedentemente stabilita (che avrebbe permesso la riduzione delle emissioni di circa il 42%), sia a includere delle concessioni ai combustibili fossili, prevedendo permessi di locazione per l’estrazione di petrolio e gas.

Di fronte a questi dati, non resta che chiedersi per quanto ancora potremo permetterci di lasciare che la discussione sulla questione ambientale sia frenata da interessi economici e personali.

Mentre scrivo, il Climate clock (l’indicatore del tempo che rimane alla Terra prima che i danni dovuti al cambiamento climatico siano irreparabili) segna 6 anni e 356 giorni… mentre voi leggete saranno ancora di meno.

È arrivato il momento di prendersi la responsabilità delle proprie azioni individuali e di come selezioniamo le persone alle quali sono affidate posizioni rilevanti in tal campo.

È arrivato il momento di agire.

Fonti:

Overshoot day:

https://www.lifegate.it/lovershoot-day-questanno-cade-il-28-luglio-un-giorno-prima-rispetto-al-2021?utm_campaign=later-linkinbio-lifegate&utm_content=later-28559377&utm_medium=social&utm_source=linkin.bio

Europa:

https://www.consilium.europa.eu/en/policies/energy-prices/

https://www.rinnovabili.it/energia/politiche-energetiche/piano-repower-eu-corte-dei-conti/amp/

America:

https://www.washingtonpost.com/us-policy/2022/07/28/manchin-schumer-climate-deal/

https://open.spotify.com/episode/72CGLU3WMJRf4xuZqR74d3?si=Ktp0Sw7fTU6oWN_dNo8RDg&nd=1

Climate Clock

https://climateclock.world/