Ma che caldo fa in questa città?
Tra le varie tematiche trattate, a Poplar Cult si è parlato anche di cambiamento climatico, in particolare delle isole di calore urbane, tema di punta in questa calda estate appena terminata. Sono intervenuti Lorenzo Giovannini, professore dell’Università di Trento, e Silvio Fedrizzi, ingegnere presso il Comune di Trento.
di Ilaria Bionda, articolista di Agenzia di Stampa Giovanile
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“Che caldo fa in questa città” non è solo la frase che molti di noi hanno ripetuto nei mesi scorsi vivendo l’afosa estate a Trento, ma anche il titolo dell’incontro che ha avuto luogo nel pomeriggio di venerdì 16 settembre nell’ambito di Poplar Cult. Lorenzo Giovannini, professore presso il dipartimento di Ingegneria dell’Università di Trento ed esperto di cambiamento climatico, e l’ingegner Silvio Fedrizzi, dirigente del Servizio Urbanistica del Comune di Trento, sono intervenuti per parlare del clima in città, in particolare delle isole di calore urbane.
Quest’anno a Trento – ma in generale in tutte le città del nord Italia – si è sofferto molto il caldo durante i mesi estivi. Secondo i dati della stazione metereologica Trento Laste, in provincia l’estate 2022 è solo la seconda più calda della storia, dopo quella del 2003, ma negli ultimi dieci anni le temperature sono cresciute vertiginosamente tanto da diventare una tendenza e non più dei casi eccezionali isolati.
È risaputo che nel centro città faccia più caldo rispetto alle zone circostanti. Questo accade poiché si formano le cosiddette isole di calore urbane, aree in cui è presente un microclima con temperature più alte fino a 5°C. “I motivi sono vari” spiega Giovannini, “in primis il diverso uso del suolo. In città c’è poco verde e sono presenti molti edifici e grandi quantità di cemento e asfalto: le superfici risultano così impermeabili”. Altro fattore il “flusso di calore di origine antropica, derivato dalle attività che coinvolgono l’uomo: industrie, trasporti, riscaldamento e raffreddamento domestico”. A questi si aggiunge poi “l’input energetico derivato dal sole che scalda le superfici e, in città, viene assorbito e poi rilasciato, mentre in campagna evapora”.
Come fare, allora, per evitare la creazione di queste isole di calore? L’ingegner Fedrizzi afferma che “le città devono diventare resilienti e adattive. Una delle prime azioni che l’amministrazione deve intraprendere è sicuramente quella di realizzare e incrementare le zone verdi: prati, alberi, vegetazione”. A Trento questo è stato recentemente il caso dell’intervento di riqualificazione del Parco di Melta e di quello in corso presso Madonna Bianca. Oltre a queste infrastrutture definite “verdi” sono importanti anche quelle “blu”, spiega Fedrizzi, “con la presenza di acqua corrente o stagnante, che assorbe il calore e crea movimento d’aria”. In città si può, poi, agire anche sulle altezze degli edifici che, se diverse, permettono una maggiore ventilazione, oltre che sulla scelta di materiali più adatti per ridurre l’assorbimento di calore e aumentare l’effetto albedo, ossia la riflessione dei raggi solari. L’asfalto, ad esempio, è uno dei protagonisti del mancato abbassamento delle temperature nelle ore notturne: assorbe, infatti, il 90% del calore durante il giorno e lo rilascia di notte. Questo è il motivo per cui fa molto caldo anche dopo il tramonto.
Nello specifico, a Trento, per mitigare gli effetti negativi del cambiamento climatico sono state intraprese numerose azioni definite “multisettoriali e multi obiettivo”. Di queste fanno parte il PAESC – Piano d’Azione per l’Energia Sostenibile e il Clima che in 26 azioni punta alla transizione ecologica del Comune, e il PUMS – Piano Urbano di Mobilità Sostenibile, mirato ad un cambio di paradigma e alla riduzione delle auto private in favore di biciclette e mezzi pubblici. A questi si aggiungono altre azioni settoriali, come il piano di gestione di rifiuti per migliorare ulteriormente il buon livello raggiunto di raccolta differenziata (al momento all’80%). Nell’ambito del Piano di Attività di Unicittà, ha poi preso avvio da poco il progetto City climate monitoring che prevede l’installazione sul territorio cittadino di una rete di microstazioni meteorologiche, finalizzata a costruire un database dettagliato sul clima della città tramite le misure di temperatura e umidità dell’aria, oltre che delle precipitazioni. Dati, questi, utilizzati per “avere una misura di ciò che succede e agire di conseguenza. Si tratta di un approccio multisettoriale in cui la sinergia è fondamentale” spiega l’ingegnere.
Dal pubblico si è voluto poi approfondire il tema delle superfici vegetali, sia orizzontali sia verticali. Gli esperti hanno affermato in primis che non possono essere realizzate ovunque, poiché serve uno spazio adeguato (come i tetti dei capannoni delle zone industriali); in secondo luogo esse sono utili soprattutto per l’efficienza energetica degli edifici e per un recupero dell’acqua piovana, più che per un effetto sul clima urbano in generale. Esiste, poi, una differenza tra tetti verdi estensivi – che sono quasi completamente autonomi e necessitano di poca manutenzione – e intensivi – che invece vanno curati maggiormente.