L’ONU, la marcia e la strada che le divide

Ieri, 10 dicembre, era un giorno speciale fuori dalla COP20. Ironicamente, nello stesso giorno in cui si celebrava la 56esima Giornata dell’ONU per i Diritti Umani, minoranze indigene, campesinos, studenti, donne e movimenti sindacali di tutto il mondo sono scesi in piazza per difendere il diritto all’acqua, alla salute, alla vita. Per chiedere di applicare, in una parola, il concetto di “giustizia climatica”. La gestione delle risorse naturali ed energetiche è dunque strettamente collegata al rispetto dei diritti umani fondamentali. E mentre all’interno dei corridoi del Pentagonito si discute accanitamente, si tirano le fila del discorso, si definiscono gli ultimi punti di una bozza per arrivare ad un accordo in vista di Parigi, le strade di Lima si riempivano di colori, suoni, ritmi, di gente comune che vuole essere ascoltata, che vuole avere voce in capitolo nel decidere del futuro del mondo. E’ stata la Marcha Mundial en la Defensa de la Madre Tierra, il cui motto è “Cambiare il sistema, non il clima”. Il sistema economico capitalista è accusato infatti di avere una visione miope riguardo alla gestione delle risorse, anzichè limitare gli effetti nefasti delle disuguaglianze sociali ed economiche esistenti le accentua, garantendo profitti nel breve termine a scapito della sicurezza alimentare, sanitaria e dell’accesso all’istruzione del 99% della popolazione. Agli occhi dei partecipanti alla marcia la COP20 sembra una enorme macchina burocratica, incapace di fornire soluzioni utili e anzi guidata, dietro le quinte, dagli interessi privati dei signori del capitalismo e dei loro dictat.

Ma perché l’ONU è così distante dalla gente ed è incapace di soddisfare i suoi bisogni? Perché un’istituzione che fin dalla sua fondazione aveva lo scopo di garantire l’esistenza di un mondo pacifico e più giusto per tutti sembra invece non essere in grado di dialogare in maniera costruttiva con i cittadini e di mettersi al loro servizio.

Alla base di ciò vi è sicuramente un gap di rappresentanza e democrazia. Nelle negoziazioni sul meccanismo per la riduzione delle emissioni di CO2 attraverso la riforestazione (REDD+), ad esempio, che è stato pensato per garantire la corretta gestione delle risorse forestali, le comunità indigene si sentono totalmente ignorate. E’ innegabile che l’idea di assegnare un prezzo, un valore, alle risorse naturali, che siano terra, acqua o aria (così come si tenta di fare all’interno della COP20) per poi applicare ad esse meccanismi di mercato, non è la strada da percorrere, per il semplice fatto che gli enormi danni in termini di salute, omologazione culturale, distruzione della biodiversità e molto altro ancora, non sono quantificabili e ricadono, in ultima analisi, sulle spalle di tutti noi.

Evidentemente, i passi che sono stati fatti dall’ONU verso la società civile fino ad ora non sono stati sufficienti. Questa Marcha Mundial en la Defensa de la Madre Tierra ne è la prova. Speriamo che in vista di Parigi 2015, le cose cambino.