L’alleanza tra i paesi produttori di petrolio mette in discussione i negoziati sul clima

di Elisa Calliari e Roberto Barbiero, articolista dell’Agenzia di Stampa Giovanile

Cala il sipario sulla prima settimana di negoziati alla Conferenza ONU sul Clima di Katowice (COP24). La palla passa ora alle delegazioni ministeriali, che avranno il compito di risolvere le questioni più spinose lasciate aperte dai tecnici. E purtroppo non sono poche. Come sottolineato dallo stesso Presidente della COP Michal Kurtyka, facendo riferimento alla definizione delle regole attuative dell’Accordo di Parigi, “c’è ancora una mole considerevole di lavoro da fare per assicurare un risultato equilibrato”.

La COP24 è infatti chiamata ad approvare il cosiddetto Rulebook dell’Accordo, ossia l’insieme di meccanismi tecnici che lo renderanno operativo a partire dal 2020. Non tutti i dettagli devono essere definiti qui a Katowice, ma è importante che emergano delle linee guida chiare su come i Paesi debbano implementare e rafforzare i propri piani climatici a partire dal 2020 (i famosi Contributi Nazionalmente Determinati o NDCs nell’acronimo inglese) e sulla struttura istituzionale che dovrebbe supportare e vegliare su questo processo.
L’unica decisione raggiunta ad oggi riguarda la durata degli NDCs, che a partire dal 2031 dovrebbe essere comune a tutti i paesi. Fino ad oggi non vi era stata chiarezza su questo punto, e gli stati avevano presentato dei piani climatici assumendo target diversi (2025 o il 2030). Rimangono invece da chiarire altri aspetti importanti: che informazioni dovranno essere inserite negli NDCs per garantire la comparabilità degli sforzi nel ridurre le emissioni? Come dovranno essere comunicati gli sforzi intrapresi in termini di adattamento? Quali saranno gli ingredienti del Global Stocktake, ossia il meccanismo creato per aumentare l’ambizione delle azioni climatiche degli stati con cadenza quinquennale? Nonostante si siano registrati progressi – seppur differenziati – in queste discussioni, è stato impossibile raggiungere un consenso. Il Presidente della COP ha quindi invitato i negoziatori ad arrivare ad un accordo sulle questioni tecniche entro oggi, martedì 11 dicembre, assumendo su di sé la responsabilità di garantire passi in avanti su quelle più spinosamente politiche come la finanza climatica.
Al senso di fatica e velata insoddisfazione in chiusura della settimana di negoziati tecnici, si è aggiunto quello di incredulità per le posizioni prese da alcuni paesi, ed in particolare gli Stati Uniti, rispetto al rapporto speciale del Tavolo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC) sugli effetti del riscaldamento globale a 1.5°C (ne abbiamo parlato qui). Il rapporto è stato tra gli assoluti protagonisti di questa prima settimana alla COP, e non vi è sala negoziale o side-event dove non sia stato citato e dove non siano state menzionate le conseguenze catastrofiche che superare questo target di temperatura potrebbe implicare.
Anche la presidenza polacca ha fatto riferimento al rapporto nella controversa Dichiarazione di Slesia, rilasciata in apertura della COP24, dove viene ricordata la necessità di percorrere la strada verso la decarbonizzazione riconoscendo tuttavia la difficoltà di garantire un “avvenire decente” ai lavoratori del comparto del carbone “toccati dalla transizione” verso economie meno inquinanti. E invece sabato sera, con grande stupore di tutti, Arabia Saudita, Kuwait, Stati Uniti e Russia, i più grandi produttori di petrolio al mondo, hanno messo in discussione la validità del rapporto dell’IPCC. I quattro Paesi hanno giocato di fatto sulle parole da inserire nel documento conclusivo chiedendo che si “prendesse nota” del rapporto IPCC invece che ne fosse “dato il benvenuto”. Prenderne solo nota significa di fatto mettere lo studio ai margini. Accoglierlo significa invece farlo divenire parte integrante del processo negoziale, tenendo in considerazione l’urgente richiamo ad uscire dall’economia basata sui combustibili fossili per contenere il riscaldamento globale.
Vedremo nei prossimi giorni se la reazione del resto dei Paesi riuscirà nell’impresa di indebolire questa posizione definita senza mezzi termini “ridicola” dalla delegata delle isole Saint Kitts e Nevis.