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L’acqua non è più un bene comune

Il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua denuncia le misure del Recovery Plan come un nuovo rilancio alle privatizzazioni. Dalla mancanza di investimenti nelle infrastrutture alla deregolazione, il Piano incentiva la colonizzazione privata delle risorse idriche.

Di Michele Castrezzati, articolista di Agenzia di Stampa Giovanile

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Nel referendum del 2011, 26 milioni di italiani hanno votato contro ogni forma di privatizzazione delle risorse idriche. Oggi, nel Recovery Plan, le misure della voce “Tutela del Territorio e della Risorsa Idrica” sono un nuovo incentivo alla privatizzazione. Con esternalizzazioni e sgravi fiscali, il Recovery da carta bianca ad un manipolo di aziende private per la colonizzazione delle risorse idriche anche nel Sud Italia, ultima frontiera della privatizzazione.

Ad alzare la voce è il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, che dopo aver ottenuto 1 milione e mezzo di firme per il referendum sulla privatizzazione, si propone adesso come difensore della volontà popolare. Il FIMA ha pubblicato un documento in cui si denunciano le mancanze del Recovery Plan e si portano avanti nuove proposte per far sì che l’acqua torni ad essere un bene comune.

Le proposte ci sono già. In Commissione Ambiente alla camera c’è una legge, presentata dal FIMA, in stallo da 2 anni. Essa prevede investimenti pari a 2 miliardi per la ripubblicizzazione del servizio idrico. Questi 2 miliardi sono da inserire nei 222 del Recovery Plan.

Ma cosa c’è che non va nella gestione privata del servizio idrico? Perchè prodigarsi così tanto affinchè lo Stato torni a controllare la risorsa acqua?

Una citazione di Charlie Munger, filantropo statunitense, dice che: “If you show me the incentive, I’ll show you the outcome”. Il perchè si fanno le cose ne determina il risultato. E perché un’azienda privata vorrebbe prendere in mano la rete idrica? Il suo incentive non è nè il bene comune né la buona gestione delle risorse, ma la ricerca del profitto economico. E questo cambia tutto.

Se anche l’acqua si mercifica ed entra nella logica del mercato, si smette di pensare a lungo termine e di dare diritti ai lavoratori, perché l’unico incentive è il guadagno immediato. Al contrario, se la gestione della risorsa acqua passa al pubblico, essa diventa motore di nuove opportunità di lavoro e di piani lungimiranti.

Inoltre, quello che non va nella gestione privata del servizio idrico, è che essa è una violazione esplicita della volontà popolare espressa nel referendum.
Le giustificazioni che tanti sindaci utilizzano per appaltare la gestione delle risorse idriche ad aziende private è che queste siano più efficienti del servizio pubblico. È davvero così?

Questo è quello che riporta il FIMA:

Nel dicembre 2020, l’ISTAT ha evidenziato come le perdite della rete idrica nel 2018 assommavano al 42%, un livello assoluto molto alto, ma soprattutto in crescita progressiva, essendo passato dal 32,6% nel 1999 al 37,4% nel 2012 e, appunto, nel 2018 al 42%. Siamo in presenza di una situazione eclatante, che la dice lunga sullo stato del nostro servizio idrico, e anche del fallimento delle scelte tutte orientate alla privatizzazione da almeno 20 anni in qua: basta considerare che, per fare un confronto con altri Stati europei, in Spagna le perdite arrivano al 22%, in Gran Bretagna al 19%, in Danimarca al 10% e in Germania al 7%.

Maggiore privatizzazione non si traduce in maggiore efficienza. In Germania, dove le perdite sono tra le più basse d’Europa, la rete idrica è completamente di proprietà pubblica.

La ripubblicizzazione del servizio idrico passa anche da una cospicua mole di investimenti nelle infrastrutture. Queste, per avere una vita tecnica utile di 50 anni, necessitano di un tasso di sostituzione pari almeno al 2% annuo. In Italia, nel 2018, eravamo allo 0,42%. Secondo il documento del FIMA, sarebbe necessario passare dai 300 milioni annui di investimenti nell’infrastruttura idrica ad oltre 2 miliardi. Questi diventerebbero 10 miliardi in un piano quinquennale che a detta del FIMA è indispensabile includere nel recovery plan.

La manutenzione serve non solo a contrastare la crisi idrica, specie nelle zone più isolate, ma a rendere il servizio pubblico più “competitivo” rispetto a quello delle aziende private.

In definitiva, queste sono le proposte pratiche che il Forum lancia per far tornare l’acqua un bene comune: si tratta di mettere in campo un intervento relativo alla “Tutela del territorio e della risorsa idrica”, che nell’arco dei prossimi 5 anni costruisca investimenti pubblici, tramite il Recovery Plan, in questa misura:

 • 2 mld di € per la ripubblicizzazione del servizio idrico, da utilizzare nel primo anno di intervento;

7,5 mld. di € (cui aggiungere risorse provenienti dai soggetti gestori per circa ulteriori 2,5 mld) per la ristrutturazione delle reti idriche;

26 mld. di € (di cui 50% provenienti dal Recovery Plan e il restante 50% da ulteriori fonti di entrata) per il riassetto idrogeologico e la messa in sicurezza del territorio.

Il Recovery Plan è un’occasione da sfruttare. Lasciare che la rete idrica passi completamente in mano ad aziende private è un modo per nascondere la polvere dei problemi della crisi idrica sotto al tappeto degli appalti. A lungo andare, la verità, è il caso di dirlo, verrà a galla.