Il Salento interrato

Nel cuore del Salento si nasconde una bomba ecologica. Pronta a deflagrare da un momento all’altro.
Sotto le tonnellate di rifiuti della discarica ormai dismessa di Burgesi, a Ugento, sono stati infatti sepolti 600 fusti di rifiuti speciali e pericolosi, cancerogeni. Si tratta di policlorobifenili, contaminanti ambientali di origine industriale utilizzati in gran quantità negli anni 30 come componenti di fluidi dielettrici e la cui produzione è stata poi pressoché dismessa a livello mondiale fra gli anni Settanta e 90, quando si scoprì che queste sostanze sono fortemente tossiche e cancerogene. 600 fusti di policlorobifenili sono stati smaltiti illegalmente all’inizio degli anni 2000 nella discarica di Burgesi.
Ci vorrà tempo e denaro per mettere in sicurezza e ripulire la discarica dai rifiuti pericolosi?
Si dovrà valutare anche quali spazi giuridici potranno essere eventualmente percorsi per chiedere alle imprese private, presunte responsabili di quell’inquinamento, il pagamento dei danni e le risorse necessarie a bonificare l’area.
Evitando di infilare la burocrazia ed allungare i tempi, come purtroppo è già accaduto per altri siti pericolosi, per altre discariche abusive di questo Salento, che per tanto, troppo tempo è stato considerato dai “predoni dei rifiuti” alla stregua di una terra franca. Ma non è l’unico sito che presenta tali condizioni. Il “Caso Burgesi”, non risulta tra quelle finite nella “zona nera” della classifica dei comuni di quantità di rifiuti e d’incidenza di tumori. Ugento, Acquarica e Presicce, si trovano in una posizione intermedia, vale a dire intorno al 60esimo posto.
I comuni che mostrano dei picchi preoccupanti, per giunta crescenti, sono quelli del triangolo “maledetto” Maglie-Cutrofiano-Galatina. Zollino e Caprarica di Lecce sul podio della morte. E poi, lontana, quella del Capo di Leuca, da Salve in giù.
Con picchi nella zona di Morciano di Leuca e Patù, ma da cui si salva”, stranamente, Montesano Salentino. Qui, come a Porto Cesareo, i dati lasciano intravedere se non un miglioramento, quanto meno una stabilizzazione del tasso di mortalità. La punta massima di morte per tumore al polmone è stata sfiorata nel 2011, a cui poi è seguita una lieve stabilizzazione e persino un timido calo.
Parliamo di tumore al polmone. Sulle restanti tipologie tumorali, al contrario, il Salento ha subito un incremento. Superando anche gli altri capoluoghi di provincia pugliesi: tra le province di Taranto, Brindisi, Bari e Lecce, quella salentina le supera tutte.”
Il suolo maledetto. Nel Salento, si continua a morire, sempre più velocemente, non soltanto casi di tumori a tutti gli organi (i più alti polmone e alla vescica). Si registra anche un aumento di infertilità tra uomini e donne, l’inquinamento sta avendo impatti sugli ormoni, provocando endrocinopatie e malattie neurodegerative croniche.
Persino i cardiologi fanno riferimento all’impatto ambientale come possibile causa di patologie cardiovascolari”, come dichiarato Giuseppe Serravezza, medico e responsabile scientifico della Lilt di Lecce. Le tragiche conseguenze correlate ai danni ambientali sono anche tante altre: si parla di leucemie e linfomi, provocati soprattutto dai pesticidi maneggiati in agricoltura dai lavoratori. O i sarcomi, dei tumori a ossa e muscoli, che invece sono una conseguenza di chi si trova vicino ad aree con presenza di Pcv, come a Burgesi.
Più è alto il tasso di rifiuti in determinate zone, più sembra essere alto l’incidenza di mortalità per tumore”.
Un rapporto direttamente proporzionale che fa riflettere, poichè potrebbe non trattarsi di una semplice coincidenza.
Intanto la scienza, così come la magistratura e la buona politica, può fare soltanto ciò che è già noto: bonificare, con urgenza.
Servirebbe anche prevedere e prevenire. E non andare a tamponare qui e lì giusto per lo scandalo della cosa per ricorrere ai rimedi.
“Oggi ci preoccupiamo degli inquinanti rinvenuti nell’area di Burgesi – spiega l’oncologo Serravezza – ma prossimamente potremmo imbatterci in altre sostanze nocive di cui oggi ignoriamo l’esistenza”.Ci chiediamo dunque da dove vengano quei fusti, ma è più urgente rimuoverli e poi avviare indagini mirate sui terreni”, dichiara.
Alla domanda su che cosa potrà, potenzialmente, accadere in futuro, Serravezza non appare molto ottimista.”Modifiche nel Dna stanno già avvenendo: come dire, trasmetteremo un patrimonio già modificato ai nostri figli”.Peraltro, considerati i tempi di incubazione e della cancerogenesi, nei prossimi anni sono plausibili nuovi picchi di tumore in questa terra martoriata.”
Come risolvere il problema? Si tratta di limitare al massimo l’uso delle discariche e conseguenzialmente quello degli inceneritori. Una rivoluzione mentale, una modifica del sistema dei consumi, una strategia di recupero, riuso e riciclo efficace, l’avvio di un cambiamento che tenga conto dei bisogni di tutti, umani e non umani, può essere la svolta per non ritrovarci, avvelenati dal nostro stesso pattume. Questa rivoluzione può essere avviata solo quando ognuno di noi sceglie capire la gravità della situazione, e potendo partire da quelle che vengono considerate piccolezze come una giusta raccolta differenziata si ha già un’enorme differenza.
Bisogna rendersi conto di come il comportamento di ogni singolo individuo sia fortemente determinante.