Credenti o credibili?

Che ruolo hanno i leader religiosi nell’affrontare l’emergenza climatica? Cosa hanno fatto? Cosa fanno? Cosa hanno in programma di fare? E, soprattutto, la loro azione è ancora significativa oggi? Domande impertinenti ma cruciali per comprendere e valorizzare il compito delle guide religiose nel nostro presente.

Di Elisa Lunardelli

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“Forza, andiamo! Veloci, non è un’esercitazione!” Questo è il ruolo che i leader religiosi dovrebbero avere: essere coloro che, nella stanza circondata dalle fiamme, sentono l’odore del fumo e danno l’allarme. La sirena è già suonata, le fiamme sono alle porte, ma si fatica a credere, si fatica  a cambiare, si fatica a capire che ogni piccolo contributo, coordinato con gli altri, può fare la differenza.

Alla conferenza organizzata l’1 novembre dal Commonwealth Jewish Council (CJC) nella Green Zone della COP26 di Glasgow si è parlato di trasformazione, di un cambiamento graduale ma integrale che deve interessare tutti, in particolare chi vive nei Paesi più industrializzati, nel confortevole, ma poco sostenibile consumismo. 

Le premesse tracciate dai tre leader religiosi invitati alla discussione, il rabbino Ephraim Mirvis, la vescovo di Reading Olivia Graham e l’imam Sayed Ali Abbas Razawi, erano concordi: è necessario vivere in armonia con la natura, amare il proprio prossimo, anche quello più lontano, essere pronti a sacrificare parte delle proprie comodità e guadagnarsi il privilegio di essere guardiani della Terra. I problemi climatici sono, quindi, secondo questi tre rappresentanti, questioni inscindibilmente legate alla religione, che affondano le proprie radici nei testi sacri.

Le domande poste durante la discussione dal moderatore, il CEO del CJC Clive Lawton, sono state incalzanti: “Cosa avete fatto, state facendo e avete in programma di fare per ridurre il vostro impatto ambientale e per guidare i vostri fedeli verso una maggiore consapevolezza e impegno?” 

Gli esponenti hanno riportato alcune delle iniziative che le loro comunità, localmente e globalmente, stanno portando avanti, tuttavia con rammarico e sincerità hanno affermato di non fare ancora abbastanza. È emerso come spesso sia difficile trovare un giusto equilibrio tra le molteplici questioni da affrontare e ciò sia reso ancora più complicato dalla diffusione su scala mondiale delle proprie comunità. 

Tuttavia questa stessa diffusione può essere una carta vincente: riconoscersi in uno stesso credo e quindi come un’unica collettività può aiutare la cooperazione e il coordinamento, elementi inequivocabilmente essenziali per affrontare l’emergenza climatica. In questa direzione si muovono numerose iniziative: dalla creazione dei green sukuk, strumenti di investimento islamici impegnati per realizzazione di progetti di sostenibilità, all’incontro tra leader religiosi organizzato dal Papa Francesco ad inizio ottobre in vista della COP26 per incoraggiarli a prendersi degli impegni concreti e a spingere affinché i politici dei loro rispettivi Paesi facciano lo stesso. 

Tema centrale dell’incontro è stato l’approccio che le singole guide religiose dovrebbero assumere oggi per aiutare ad affrontare e ridurre il cambiamento climatico. La vescova Graham ha sostenuto che “la creazione di eco-vescovi nella Chiesa anglicana abbia aiutato la sensibilizzazione dei fedeli, a mantenere viva la discussione ed incoraggiare l’azione sull’argomento”. Anche il rabbino Mirvis ha sottolineato come essere leader significhi “essere esempio vivente”. Oggi essere credenti non basta, bisogna diventare credibili. L’imam Razawi si è invece soffermato sull’importanza della collaborazione con altre realtà, anche laiche, per dare risonanza ai molti sforzi che già si fanno nella e per la società civile. “Il compito dei capi religiosi è quindi quello innanzitutto di incarnare i propri principi vivendoli fino in fondo e, di conseguenza, influenzare chi sta loro attorno, creando in definitiva una umanità più sostenibile”.


La COP26 si presenta come un momento prezioso non solo per la negoziazione internazionale sul clima, ma anche per creare, nella società civile, dei luoghi e dei modelli di incontro e dialogo su temi trasversali di vitale importanza. È qui che si allena l’ascolto e ci si rende conto, come raccontato da uno speranzoso imam Razawi, di quanto, insieme, si possano muovere le montagne… o meglio, si possano lasciare al proprio posto!