L’inaccessibilità delle città

Una riflessione su quanto siano inaccessibili le città di oggi.

di Chiara Camporese
Mentor: Angela Nardelli

Un anno fa i marciapiedi erano soltanto pezzi di cemento più o meno delineati e riconoscibili. Linee che separavano scorrimenti a ritmi diversi. Sono diventati, con un tempo non definibile, spigolosi, ripidi e frammentati. Non ho memoria precisa di quando il mio corpo ha smesso di muoversi al ritmo che ho sempre conosciuto. Ricordo però, con una memoria quasi documentaristica, i momenti in cui quei marciapiedi sono diventati confini reali, limiti e vincoli.

I marciapiedi costituiscono la cornice di un tema più ampio, ovvero quello delle città, il palcoscenico delle pratiche di vita quotidiana. 

Le città costituiscono i primi modelli di interazione sociale, e nel corso del tempo abbiamo assistito a un loro profondo cambiamento, che ha coinvolto aspetti come la mobilità e l’architettura. Tuttavia, attualmente, le città sono prevalentemente concepite considerando esclusivamente la mobilità, concentrandosi su un singolo tipo di spostamento: quello delle auto. A mio avviso, la semplice creazione di piste ciclabili non è sufficiente; è essenziale pensare a come costruire lo spazio in modo più ampio. Un ambiente che sia sicuro, accessibile e visibile. Uno spazio per tutte le soggettività. Le città sono un ecosistema intrinseco. Pertanto, c’è la necessità di riconsiderare il significato delle strade e delle città, percependole come uno spazio pubblico per le persone. 

Oggi, purtroppo non è così. Il mancato allestimento di rampe e percorsi tattili sui marciapiedi, insieme alla mancanza di dispositivi acustici sui semafori, rappresentano solo alcuni degli elementi che mettono in luce la mancanza di accessibilità delle città per le persone disabili. Le città però non sono composte soltanto dalle strade che quotidianamente attraversiamo, ma anche da tutti gli spazi adiacenti e immersi all’interno delle città come parco giochi, sedi di quartiere e spazi di aggregazione. Riconoscere la struttura abilista della società è urgente e necessario, struttura che si viene riprodotta dalle forme e modelli in cui le città vengono create. Le città sono luoghi di incontri, scontri e racconti, per questa ragione gli spazi pubblici rivestono un ruolo cruciale nella creazione di comunità fondate sulla cura e rappresentano potenti veicoli  di pluralità di realtà e di esistenze. Come possiamo riconoscerci se non possiamo incontrarci?
Se manca il diritto principale di attraversa gli spazi per alcune persone? Come facciamo a riconoscere ciò che naviga attorno a noi se i luoghi dove muoviamo i nostri passi sono colmi e saturi di auto?

Le città, in modo sottile e spesso impercettibile, continuano a modellare e a riflettere le dinamiche di potere. L’approccio alla città da una prospettiva femminista rappresenta un punto di partenza fondamentale per ridefinire le città stesse, il modo in cui le viviamo e le costruiamo. Le dinamiche di potere descritte da Kern nel suo libro sono analoghe a quelle che si riscontrano nelle strade, nello spazio assegnato alle diverse forme di mobilità. Tuttavia, per alcune di esse, questo spazio è spesso carente o ingabbiato tra altre aree, senza sufficiente considerazione per l’insicurezza e l’accessibilità.

Chi abita le città? Quali sono le sue caratteristiche sociali riflesse? Quali sono le persone escluse ai margini? Con quali pregiudizi è stata concepita? Affrontare queste domande richiede una prospettiva nuova, consapevole del fatto che lo spazio urbano è sia uno specchio che un attore nelle dinamiche delle strutture sociali patriarcali. Riflessione che deve essere accompagnata e sostenuta da politiche che ridefiniscono l’intera mobilità, mantenendo al centro l’importanza dell’accessibilità e garantendo che lo spazio sia in grado di accogliere tutte le necessità e i bisogni individuali.