“Sono vasto, contengo moltitudini”

Vi siete mai chiesti come il periodo storico che stiamo vivendo sarà visto dalle future generazioni? Quando “Il primo ventennio del XXI secolo” sarà il titolo di un capitolo del libro di storia dei nostri nipotini, che cosa ci sarà scritto dentro? Il primo mese di questo 2017 pare non dare buone speranze a quel capitolo: odio, razzismo, divisioni e disuguaglianza sembrano essere le parole chiave a comporlo e che pesano come macigni.
È proprio di questi argomenti che tratta l’articolo “L’era della rabbia“, pubblicato su  Internazionale, cui titolo tra l’altro è tratto dall’omonimo libro dello scrittore e saggista indiano Pankaj Mishra. Titolo che viene preso e sbattuto, anzi, scagliato al centro della copertina a infrangere in mille pezzi l’immagine del neo-presidente degli Stati Uniti d’America: Donald Trump. L’elezione del miliardario repubblicano, le recenti derive xenofobe prese in Europa e l’elezione di Duterte nelle Filippine sono, infatti, tre esempi che l’articolo porta domandandoci: “Quando il mondo del libero scambio e del contatto tra popoli è diventato il mondo dei muri, dei confini, del campanilismo?”. Può essere, ipotizza, che le cose siano sempre state così: il razzismo, la xenofobia sono caratteristiche della natura umana che erano solo state represse, coperte dalla speranza nel dialogo, dalla speranza figlia del crollo del Muro di Berlino e della fine della Guerra Fredda.
Quindi, viene spontaneo domandarsi, sarà questa la nostra etichetta? Il vero titolo del nostro capitolo sarà: “L’era della rabbia”? Sarà così, in un ciclico ritorno alla chiusura, ai muri, che la nostra società finirà per implodere?
Come giovani, un pensiero simile è inaccettabile. Comprensibile, non sarebbe la prima volta che un complesso sistema sociale crolla a causa della paura (basti pensare all’Impero Romano). Tuttavia assolutamente inaccettabile. Per questo, la ricerca di alternative ci ha portati a scoprire un’esperienza che ha un potenziale rivoluzionario. Definisci te stesso. Come sei? Chi sei? Sei italiano, inglese, pakistano, musulmano, cristiano…? Facile, esercizi da bambini, oppure no?

Basta sputare
Recentemente, sul web, un video pubblicato da Momondo ha sollevato non poca polvere nel dimostrare che no: sapere chi siamo non è affatto un gioco da ragazzi. Il video segue i vincitori di un concorso, lanciato da Momondo, nel loro percorso all’interno del progetto “The DNA Journey”. Ad ogni partecipante veniva chiesto di definirsi: da dove veniva, come vedeva la sua nazione in rapporto alle altre, quali popolazioni non gli piacevano ecc.. Dopo, tutto ciò che dovevano fare era sputare all’interno di una provetta, chiuderla e consegnarla a un laboratorio di analisi. Soltanto grazie a un po’ di saliva, infatti, è possibile ricavare il DNA di un individuo. Attraverso lo studio dei geni, è possibile ricostruire le proprie origini ancestrali sotto forma di percentuali e di percorsi migratori. E così un uomo inglese che odia i tedeschi scopre di essere per il 5% di provenienza germanica e una donna trova un suo lontano cugino in un gruppo di sconosciuti. Sembra fantascientifico eppure è vero.
Momondo ha appena riaperto il contest in Italia, dando la possibilità a 30 maggiorenni di vincere un test gratuito. Ma non è necessario vincere un concorso (e né essere maggiorenni!) per avere la possibilità di fare un’esperienza del genere. Cercando, ci siamo imbattuti in varie associazioni che offrono questo servizio (per prezzi che oscillano dai $100 ai $150 + spese di spedizione). Alcuni esempi sono: “Genographic Project” di National Geographic che, oltre a fornirti i tuoi dati personali, utilizza le scoperte fatte con i test per ricostruire i percorsi migratori dell’uomo da oltre 100.000 anni fa a oggi. Un altro è Family Tree DNA, che cerca di ricostruire i rapporti di parentela che ci collegano con persone di tutto il mondo. Per ultimo, 23andMe, che ricerca principalmente per scopi medici e molti altri ancora.
Fare il test è semplice (chi ti chiede di sputare, chi di passare dei tamponi sull’interno guancia) e dà l’opportunità di scoprire costantemente qualcosa di nuovo. Facendo il test, presso una qualsiasi associazione, è possibile passare l’analisi (Raw datas) a molte altre, potendo ampliare sempre di più le proprie conoscenze. Si possono avere notizie sulla provenienza dei nostri antenati, trovare lontani parenti e persino conoscere tendenze che il nostro codice genetico cela (ad esempio, la maggiore inclinazione a diventare dipendenti da nicotina o il miglior metabolismo di alcuni medicinali)!
Scoprire noi stessi in questo modo è il primo passo per scardinare gli stereotipi. Può aprire gli occhi sul fatto che un individuo non è una cittadinanza (non necessariamente due italiani avranno più cose in comune rispetto che un italiano e un siriano, ad esempio). Proprio per questo, io ho deciso di fare il test.
Scoprire di avere ben un 25% dei geni che presenta mutazioni ricollegabili proprio alla Siria e alla Turchia mi ha fatto sentire molto più coinvolta in ciò che sta accadendo ora in quei luoghi: senza quelle zone, senza i loro antichi abitanti, io non sarei qui. Chi sono io, quindi, per voltare le spalle ai figli dei miei stessi padri, figli la cui sola colpa è non essere stati migranti quando chi ha dato origine a me, invece, lo è stato? “Sono vasto, contengo moltitudini”, scrive Walt Whitman nella raccolta di poesie Foglie d’erba, e con questa citazione voglio aprire e chiudere questo appello (più che articolo). Ai giovani di tutto il mondo (ma anche ai bambini, agli adulti, agli anziani) non abbiate paura di scoprire e accettare ogni piccola parte che vi compone. Tutti siamo dei puzzle, mia nonna lo dice sempre: “Il mondo è bello perché è vario”. E la verità è che noi non siamo solo degli individui, noi siamo tutti dei piccoli mondi.