Il favoloso orgoglio “altro” di Porpora Marcasciano
Flashback allo scorso 15 maggio, a Trento. Il Collettivo Transfemminista Queer Trento ha organizzato un evento in preparazione del Dolomiti Pride: un incontro Porpora Marcasciano. Figura di spicco della comunità LGBTQI italiana presidente onoraria del MIT – Movimento Identità Transessuale, Porpora ha presentato due suoi libri (L’Antologaia e L’Aurora delle trans cattive) durante un aperitivo intimo e informale. L’occasione è stata il modo attraverso cui il pubblico ha potuto fare la conoscenza di una testimone della mobilitazione giovanile e del cambiamento politico-culturale al quale l’Italia è andata incontro dagli anni Sessanta in poi.
Io sono stata ancora più fortunata degli altri, perché Porpora ha trovato il tempo per questo confronto a tu per tu. La incontro nel retro del teatro che ospita la sua presentazione, straordinaria nei suoi pantaloni di eco-pelle nera e orgogliosa di esibire una spilla del movimento Black Lives Matter. Mi comincia a elencare le sue esperienze, con una voce e un atteggiamento imbevuti di quella carica emotiva tipica di chi rivive i momenti segnanti della propria vita. Momenti che si sono ripetuti nell’esistenza di molti altri suoi coetanei e conoscenti: il percorso esistenziale di Porpora è infatti individuale e collettivo al tempo stesso, è la storia di individui che non aderiscono a stereotipi sociali e che perciò hanno sopportato violenze, repressioni e disconoscimento pubblico.
La mia interlocutrice, però, non si crogiola nel vittimismo e nell’autocommiserazione. Dimostra invece la straordinaria forza di chi non vuole arrendersi a un sistema che toglie voce alle diversità. La sua narrazione, fuori e dentro i libri, è animata da una combattiva “favolosità” – la voglia di vivere e gioire, la necessità di manifestare in modo creativo la propria rabbia e determinazione, l’unicità del movimento trans.
Porpora mi racconta che ha preso parte a collettivi e movimenti di carattere politico a partire dagli anni Settanta. La sua prima vera esperienza di attivismo omosessuale è iniziata nel 1978, quando è stata tra i fondatori del collettivo Il Narciso – rinominato Circolo Mario Mieli dopo la fusione del 1983 con il movimento “Fuori”. Nel ’79, a seguito di una protesta in piscina, nasce il MIT, ufficializzato solo due anni dopo.
Porpora ha fatto parte del direttivo del Movimento Identità Transessuale sin dall’inizio, ricoprendo diverse cariche. Ad oggi, mi dice con un sorriso, è molto contenta e soddisfatta della strada che ha fatto il suo movimento. I servizi che esso offre si sono moltiplicati nel tempo: alle case alloggio si sono aggiunti consultori, punti di accoglienza per rifugiati transessuali, interventi in carcere e altro ancora. Tutto per dare voce a individui trascurati e spesso maltrattati per la loro alterità. Tutto cercando di affrontare le situazioni negative con un atteggiamento combattivo e positivo, perché – sostiene l’attivista – “ci vuole gioia nel fare le cose, non pesantezza”.
Spostando l’attenzione sulla politica italiana ed europea e sulla situazione dei movimenti militanti internazionali, Porpora ribadisce che lei e le sue compagne “si sono sempre poste come ricamatrici di rapporti in una rete più grande” perché ottenere risultati concreti che migliorino davvero la vita delle persone esige l’instaurazione di un dialogo trasversale con tutti gli attori sociali
Affascinata e incuriosita da queste riflessioni, le chiedo di spiegarmi nello specifico quali sono gli obiettivi del MIT rispetto alla legislazione nazionale. La risposta che ricevo sottolinea che il Movimento ha già ottenuto una prima grande conquista legislativa (ma anche culturale e sociale): l’approvazione della legge 164 nel 1982. La norma riconosce ufficialmente il transessualismo (inteso come consapevolezza di appartenenza a un sesso diverso da quello anatomico) e permette l’adeguamento della condizione biologica alla propria identità per mezzo di interventi chirurgici. Prima della legge 164, un soggetto transessuale “non aveva neanche un nome”: questo dà la misura di quanto sia stato rivoluzionario l’avvento di tale regolamentazione – che ha un proprio omologo solo in Germania. Tuttavia, dopo questo passo avanti, i successi legislativi per i diritti LGBTQI si sono progressivamente diradati. Passata l’epoca del cambiamento sospinto dai movimenti sociali, le proteste in piazza con le loro rivendicazioni sono diminuite, l’attenzione della politica e della società verso i problemi di chi non si identifica nella binarietà sessuale e di genere è venuta sempre meno e gli attivisti hanno potuto fare poco.
Porpora si rammarica, per esempio, che ancora oggi la possibilità di cambiare il proprio nome senza alterare il proprio sesso sia una conquista per lo più giuridica, che ha poco di culturale e sociale. Si dispiace anche che ci siano due importanti rivendicazioni ancora in sospeso, ossia la legge contro la transofobia e la norma per l’inserimento lavorativo di individui transessuali. Il principale ostacolo alla loro creazione è la mentalità e la politica italiane: per la nostra società e per i nostri rappresentanti, questioni legate all’omosessualità, al transgenderismo, al mondo queer sono scomode. Da qui, la resistenza che le istituzioni contrappongono alla possibilità che esse siano discusse in Parlamento, nei Ministeri, all’interno delle scuole.
Ma tutto ciò non fa altro che aumentare indifferenza e disinformazione rispetto alla transessualità, la cui comprensione passa anche e soprattutto attraverso la spiegazione puntuale e veritiera di cosa essa sia, di cosa significhi vivere imprigionati in una condizione che non corrisponde alla propria identità.
Non mi rimane purtroppo molto tempo per approfondire. La mia chiacchierata con Porpora Marcasciano sta per finire. Naturale, dunque, che le chieda un’opinione sul Dolomiti Pride e sulle parole di Ugo Rossi [presidente della Provincia Autonoma di Trento] a commento dell’evento. Lei definisce subito il Pride come “un momento di rivendicazione che va riempito di contenuti: gioia, favolosità e diritti. È una festa, un punto di arrivo e partenza di una grande collettività”. È positivo che la manifestazione si ripeta in quasi ogni città della Penisola, poiché essa è uno strumento di sensibilizzazione delle comunità locali e di verifica dei progressi fatti dal movimento LGBTQI nei vari territori. Ben venga dunque il Dolomiti Pride.
Ma Porpora muove una critica alla situazione. Per lei, è necessario quanto fondamentale che la comunità LGBTQI si raduni anche a livello nazionale, organizzando una “giornata dell’orgoglio altro” italiana. Solo così la sua esistenza e la sua protesta saranno davvero visibili, inclusive e incisive: “l’Italia è l’unico paese che ha tanti Pride che si svolgono nelle diverse città e regioni, ma che non possiede un Pride nazionale” commenta, augurandosi che presto nasca una festa italiana.
Quanto alle accuse di eccessivo “folklore ed esibizionismo” mosse da Rossi alla manifestazione e ai suoi animatori – giudizio che ha portato la Provincia Autonoma di Trento a negare il patrocinio all’evento, Porpora quasi ci ride sopra: mi dice tranquillamente che non bisogna dare tanto peso a opinioni e fatti simili. Sono posizioni strumentali, assunte per accaparrarsi voti evitando di esporsi in modo chiaro rispetto a questioni controverse. Sono provocazioni che il popolo del Pride deve intendere e intende come test per la propria forza, convinzione e capacità di mobilitazione.
Al termine dell’intervista, Porpora mi invita a unirmi al brindisi che precede l’evento del quale è protagonista. La lascio quindi alla sua serata e alla curiosità delle tante altre persone che, come me, vogliono avere l’occasione di poter parlare con lei – con una persona capace di fare dell’integrazione uno stile di vita, un’ambasciatrice di realtà troppo trascurate.
Se potessi (e mi do in realtà il permesso di farlo) esprimere la considerazione che ho fatto dopo aver conosciuto e letto Porpora Marcasciano, direi questo: entrare in contatto con il mondo della cosiddetta alterità sessuale e di genere è un’esperienza fondamentale e un modo bellissimo per conoscere quel mondo. È uno strumento di analisi introspettiva, di riflessione sulla propria identità e sul contesto socio-culturale e politico nel quale si vive. È, insomma, un percorso di crescita personale che consiglio a tutti.