Memoria selettiva

Il 27 gennaio è il Giorno della Memoria dedicato al ricordo delle vittime di Shoah, Olocausto, Porrajmos e della persecuzione e dello sterminio di molti altri gruppi sociali da parte dei nazisti. Ma che cosa ricordiamo davvero? Una riflessione.

di Jenny Cazzola
Mentor: Francesco Bevilacqua

Iniziamo con una premessa: l’autrice di queste righe è una donna queer con disabilità che ha sempre avuto il pallino della storia, ma che non è una storica. Seconda premessa: lo scopo di quest’articolo non è di fare benaltrismo, bensì di invitare alla riflessione sul passato, ma soprattutto sul presente.

Il 27 gennaio

Il 27 gennaio ogni anno si commemorano le vittime dell’Olocausto. Spesso in quest’occasione si tengono delle cerimonie. Si posano fiori sui momenti dedicati alle vittime. Spesso esponenti della politica sia locale che nazionale sono presenti, per farsi vedere, far vedere che a loro importa di queste persone ormai scomparse quasi 80 anni fa. E soprattutto per ripetere una frase: “Mai più”. Mai più ci devono essere persecuzione e sterminio sistematici. Mai più vogliamo girarci dall’altra parte. Mai più le forze del male devono salire al potere.

Tralasciando per un attimo la veridicità di questa frase, alla sottoscritta sorgono dei dubbi. Non sul fatto che ricordare il passato e ricordarsi quali abomini la razza umana è capace di compiere, non sia importantissimo. Ma su cosa ricordiamo. Su chi ricordiamo. Su come ricordiamo. E su perché ricordiamo.

Cosa ricordiamo

Il 27 gennaio 1945 le truppe dell’Armata Rossa raggiunsero e liberarono il campo di Auschwitz-Birkenau, il più grande centro di concentramento e di sterminio dei nazisti. La liberazione di Auschwitz non fu l’unica azione di questo tipo (cosa che spesso tendiamo a dimenticare), ma fu vista come la più significativa. I liberatori russi vengono visti come eroi che salvarono e portarono in salvo centinaia di migliaia di persone. Questa narrazione è così forte che ancora oggi la popolazione russa ne va fiera. Una delle motivazioni principali che il presidente russo Vladimir Putin ha fornito per l’attuale guerra in Ucraina, è quella di dover compiere un’azione simile.

Quello che invece viene raccontato molto meno spesso è cosa ne fu dei prigionieri dei campi dopo la liberazione. Perché non tutti raggiunsero la libertà. Alcuni, per esempio, uomini condannati e imprigionati per omosessualità, uscirono dei campi ed entrarono direttamente nelle regolari prigioni tedesche. I nazisti non furono gli unici a perseguire l’omosessualità maschile come reato. L’articolo 175 del Codice penale tedesco fu in vigore dal 1871 fino al 1994, anche se i nazisti ampliarono di molto questa legge. Il film “Great Freedom –Große Freiheit” del 2021 racconta come un giovane uomo gay passa direttamente da un campo di concentramento alla prigione, e ci trascorre gran parte della sua vita.

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Locandina del film “Great Freedom” © Wikipedia

Chi ricordiamo

Ma gli uomini gay sono solo uno dei gruppi di vittime di persecuzione e sterminio da parte dei nazisti, che spesso durante il Giorno della Memoria sono solo in secondo piano o addirittura sembrano essere solo note a margine del racconto. Chi erano le vittime dei nazisti? Le persone ebree sono le prime a venire in mente. Ma ad essere perseguiti, detenuti e sterminati sono stati anche rom e sinti, persone omosessuali, persone con disabilità, la popolazione della Polonia, prigionieri di guerra e politici, Testimoni di Geova e qualunque persona che potesse essere considerata “deviante dalla società” o “antisociale”.

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I diversi tipi di prigionieri nei campi di concentramento dovevano portare dei triangoli di colori diversi per poter essere distinti. Fonte dell’immagine: https://sanand.altervista.org/un-27-gennaio-ricordo-di-tutti/

In alcuni casi lo sterminio di questi gruppi è stato ignorato e dimenticato volutamente dopo la fine del Terzo Reich. Infatti, il Samudaripen o Porrajmos, ovvero il genocidio di rom e sinti è stato riconosciuto ufficialmente solo nel 1982, 37 anni dopo la fine della guerra e dopo che 11 Sinti tornarono a Dachau per protestare sotto forma di uno sciopero della fame che durò otto giorni nella settimana di Pasqua del 1980.

Come ricordiamo

L’esempio del film e dello sciopero della fame ci portano alla terza domanda: come ricordare? La si può interpretare in due modi. Il primo è la forma che le ceremonie per il Giorno della Memoria prendono ogni anno. La seconda invece è la forma che prende la nostra memoria. Sembra ormi chiaro che la memoria delle vittime dei nazisti sia più che selettiva. Noi ricordiamo a sprazzi e a brandelli. Ricordiamo quello che abbiamo studiato a scuola sull’argomento. Ricordiamo quello che ogni anno viene ripetuto dai media. Ricordiamo i nomi e i volti di persone che consideriamo eroi, o con cui sentiamo un particolare legame o per le quali nutriamo un qualche tipo d’interesse. Ricordiamo magari chi ha vissuto sul nostro territorio o chi ha fatto parte della nostra comunità. Ma non ricordiamo le masse, i milioni. Sarebbe impossibile. Eppure, noi ogni anno fingiamo di esserne in grado.

Ma soprattutto ricordiamo la storia come roba del passato. Come qualcosa di lontano, che ormai ci siamo lasciati dietro da tempo. E sarebbe bello se fosse così. Ma l’estrema destra sta guadagnando potere politico in tanti paesi d’Europa. In Germania proprio in questi giorni sono venuti alla luce dei sconcertanti piani del partito di estrema destra AFD. Le guerre e i genocidi continuano, non solo a Gaza, ma anche in posti del mondo a cui noi europei spesso non prestiamo molta attenzione. E tante volte la violenza strutturale e sistemica accade vicino a noi. Come in 13 paesi dell’Unione Europea, in cui è ancora legale la sterilizzazione forzata di donne con disabilità cognitive.

Perché ricordiamo

Davanti a tutti questi esempi sorge un’ultima domanda: perché ricordiamo? Anche essa può essere interpretata in due modi. Perché ricordiamo solo a brandelli? Perché tante cose non le sappiamo? La risposta breve: Perché nessuno si è premurato di spiegarcele. La storia dell’Olocausto e degli anni che seguirono è ancora un argomento spinoso, un tasto dolente. Elaborarla è difficile. Spesso manca il tempo (per esempio nelle scuole) per farlo bene. E probabilmente manca anche la volontà politica di guadarci indietro con uno sguardo sincero, di assumerci responsabilità e colpe e di chiederci come tutto questo influisca sul nostro presente e futuro.

Allora perché continuiamo con le manifestazioni per il Giorno della Memoria? Forse un po’ per discolparci, per alleggerirci la coscienza. Forse un po’ per sentirci migliori di chi gli orrori gli ha vissuti e ha taciuto. O forse perché sappiamo che dobbiamo mantenere quella promessa del “Mai più”. Anche se ormai è chiaro che serve di più di qualche cerimonia per farlo. Forse un modo potrebbe essere iniziare a cercare e raccontare quelle parti della storia che finora nessuno ci ha insegnato.