Conoscere il fenomeno migratorio: partiamo dai numeri
Per conoscere il fenomeno migratorio in Italia, è importante partire dai numeri. Perché, spesso, ciò che leggiamo riporta dati non contestualizzati, che finiscono per creare travisamenti e false rappresentazioni. Le conseguenze peggiori? Una sovrastima del fenomeno, il proliferare di pregiudizi, la chiusura verso la diversità e il dilagare della xenofobia.
di Angela Nardelli, articolista di Agenzia di Stampa Giovanile
–
Il fenomeno migratorio dalla fine degli anni Novanta ad oggi si è imposto come uno dei temi più discussi all’interno dei mass media, nei dibattiti pubblici e politici. Con la globalizzazione, il fenomeno migratorio è diventato una chiave per conoscere il mondo in cui viviamo, una dimostrazione di movimento e flusso costante di conoscenza che la liberalizzazione ha portato con sé. Si è creata una società pluralista e multiculturale, che richiede un ampio spettro di strumenti per essere rappresentata.
La velocità di questo cambiamento ha causato però anche una perdita di punti di riferimento sicuri, e un forte senso di incertezza nei confronti del diverso, dell’estraneo, del non conosciuto. Conoscere il fenomeno migratorio risulta quindi fondamentale per abbattere le barriere e i pregiudizi che questa tematica porta con sé.
Il fenomeno migratorio in Italia
La storia dell’immigrazione straniera in Italia rappresenta una parte importante della storia italiana. I due percorsi si intrecciano tra loro e si condizionano, tanto a lungo hanno convissuto.
L’Italia per questo motivo non può considerarsi un paese di recente immigrazione: il fenomeno è presente in modo significativo durante gli anni Settanta del Novecento, e gli arrivi dall’estero di lavoratori, profughi e studenti iniziano ad aumentare già dopo la Seconda Guerra Mondiale.
L’immigrazione che conosciamo oggi è certamente diversa, e diverse sono le persone che definiamo “immigrate”. Soprattutto negli ultimi decenni le categorie di immigrati che giungono in Italia si sono differenziate, così come sono cambiate le motivazioni che spingono a migrare.
Gli immigrati per lavoro si differenziano dagli immigrati stagionali, da quelli qualificati, dai rifugiati e dai richiedenti asilo. Sono categorie che hanno storie, culture e sviluppi diversi. Ci sono poi altre figure, che sono spesso confuse con le altre e ritenute erroneamente minacciose per la sicurezza pubblica: sono gli immigrati irregolari e quelli “illegali”, definiti nel linguaggio corrente come “clandestini” (termine giuridicamente inappropriato).
La definizione di regolarità e irregolarità è data dalla legge che regola l’immigrazione in uno stato, che per quanto riguarda l’Italia è stata soggetta negli anni a continue revisioni e modifiche. Questo ha contribuito a creare allarme e confusione intorno a questo fenomeno e alla sua storia. Comprendere a fondo la nascita, lo sviluppo e la globalizzazione dell’immigrazione in Italia è necessario per conoscerne le radici e non valutare il fenomeno solamente per le sue caratteristiche recenti.
Il fenomeno in dati
Sono molteplici le rotte che i migranti sono costretti a percorrere per raggiungere l’Europa, e diversi i pericoli che incontrano a causa della forte militarizzazione e dei controlli serrati alle frontiere.
Quella che più di tutte è al centro dell’attenzione per l’Europa è la rotta del Mediterraneo centrale, che si sviluppa in rotta libica, tunisina e algerina, e i cui principali paesi europei d’arrivo sono Italia e Malta.
C’è poi la rotta del Mediterraneo orientale, di cui la Turchia è il principale paese di partenza. Da qui i profughi si muovono verso la Grecia – via mare ma anche via terra – e verso l’Italia, sbarcando sulle coste di Puglia, Calabria e Sicilia.
Sempre del Mediterraneo è la rotta occidentale, che collega i profughi del Marocco alla Spagna. Altra rotta è quella balcanica, che dalla Turchia attraversa i Balcani fino a Croazia, Slovenia e Italia.
L’Italia si trova ad essere al centro di queste rotte migratorie, paese d’arrivo e di transito. Il Mar Mediterraneo che circonda la penisola è testimone di decenni di naufragi, respingimenti, salvataggi, uccisioni. È testimone di un fenomeno complesso, che è necessario analizzare a fondo per poterne capire l’essenza.
Il 2021 ha registrato in Italia un aumento notevole di rifugiati e migranti che hanno attraversato il Mediterraneo. Si tratta di 67.477 migranti sbarcati, il 197% in più rispetto al 2020, che ne registrava 34.154. Gli sbarchi in Italia sono notevolmente aumentati rispetto ai minimi del 2019 (11.471), complice anche la pandemia di Covid-19 e le sempre più diffuse situazioni di crisi negli Stati di partenza. A maggio 2022 l’UNHCR registra 11,714 arrivi via mare, in calo rispetto allo stesso periodo del 2021 (14.692).
Concentrandoci su questi dati, la narrazione mediatica degli ultimi tre anni parla di una nuova “inondazione” proveniente dalle coste della Libia e della Turchia e diretta verso l’Italia, riportando l’aumento degli sbarchi in modo allarmistico. Ma si può realmente parlare di invasione? Il rapporto di Fact Cheching di ISPI (Italian Institute for International Political Studies) intitolato «Le Migrazioni nel 2021» riporta come diversi indicatori facciano pensare che i numeri degli arrivi nei prossimi anni si stabilizzerà intoro alle 50.000 persone l’anno. Non si tratta però di qualcosa di inaudito, nonostante il numero possa sembrare spaventoso: nel 2014 sbarcarono sulle coste italiane 170.000 persone, che arrivarono a 181.000 nel 2016.
È chiaro come il fenomeno migratorio in Italia non possa essere paragonato ad “un’invasione” recente solamente prendendo a riferimento un singolo numero. Questo dato, infatti, deve essere inserito in un contesto, devono essere analizzate più a fondo le norme che regolano le politiche migratorie, studiarne l’evoluzione e comprendere come il fenomeno viene comunicato dai media e percepito da noi lettori. (Spoiler: questo lo vedremo nei prossimi articoli!).
Gli effetti della pandemia sulle migrazioni nel Mediterraneo
La pandemia di Covid-19 che ha colpito l’Europa e il mondo intero ha avuto degli effetti evidenti sulla pressione migratoria regolare e irregolare alle frontiere dell’Europa. Tra marzo e aprile 2020 molti paesi europei, tra cui l’Italia, si sono isolati, chiudendo i confini interni ed esterni. L’idea dei governi di scoraggiare l’immigrazione irregolare era diffusa, così come il pensiero che gli sbarchi sarebbero diminuiti perché gli stessi migranti sarebbero stati meno disposti a partire.
I dati, però, mostrano un trend opposto: da marzo 2020 infatti i numeri hanno iniziato a salire rispetto al 2019, oscillando per tutto l’anno fino a raggiungere un picco di 8.494 sbarchi a luglio 2021. Inoltre, il 43% dei 34.154 migranti arrivati in Italia nel 2020 proviene dalla Tunisia, mentre il 38% dalla Libia. Un dato molto diverso rispetto agli anni precedenti, nei quali la maggioranza dei migranti proveniva dall’Africa Subsahariana. Questo è un fatto che è strettamente collegato alle motivazioni che determinano le partenze.
Matteo Villa – ricercatore del Programma Migrazioni di ISPI – nel nuovo rapporto MED di ISPI spiega che sono due i fattori che hanno contribuito all’aumento degli arrivi irregolari: la crescita del numero di rifugiati e quella dei migranti economici.
Il ricercatore afferma che «per quanto riguarda i rifugiati, la situazione era già peggiorata ben prima della pandemia. In Libia molti vivevano in condizioni terribili. Non sorprende quindi che al culmine della pandemia in Italia, molti migranti e richiedenti asilo in Libia considerassero ancora l’attraversamento del Mediterraneo un’opzione migliore rispetto al rimanere a casa».
Il secondo fattore riguarda gli arrivi dalla Tunisia. La prossimità geografica e soprattutto le prospettive economiche inesistenti hanno contribuito ad accrescere le partenze di migliaia di tunisini. Il paese da anni soffre di un alto tasso di disoccupazione, aggravato dalla pandemia di Covid-19 che ha sconvolto l’industria del turismo, che impiega il 10% della forza lavoro tunisina. La chiusura forzata delle frontiere ha scoraggiato anche la migrazione regolare, bloccando nel paese decine di migliaia di lavoratori stagionali in cerca di lavoro in Europa. Di conseguenza, la prossimità geografica delle coste tunisine e italiane ha agito da attrazione per la migrazione irregolare, in assenza di alternative.
Matteo Villa conclude il suo articolo scrivendo che «la pandemia di Covid-19 ha avuto una ricchezza di effetti diversi e inaspettati sui movimenti migratori a breve termine. Ma i fattori migratori a lungo termine come le tendenze demografiche, le opportunità economiche, le reti familiari e sociali all’estero, continueranno a plasmare la volontà di migrare in futuro, regolarmente o meno. Anche nel mondo post-pandemia».
In partenza dalla Libia
Per quanto riguarda invece i primi cinque mesi del 2022, degli 11,714 migranti giunti via mare sulle coste italiane, la maggior parte proviene da Egitto, Bangladesh e Tunisia, diretti verso l’Italia dalle coste della Libia e della Turchia.
Come negli anni precedenti, molti di coloro che hanno intrapreso questa rotta hanno esigenze di protezione internazionale, in quanto fuggono da guerre, persecuzioni, tratte di esseri umani, violenze subite nei campi di detenzione libici.
Quella che si sta consumando in Libia è una vera e propria crisi umanitaria, che si alimenta dal 2001. È preoccupante inoltre la mancanza di soccorso al largo delle coste libiche, dove la maggioranza degli interventi è eseguita dalla Guardia costiera libica, che dopo aver intercettato i migranti li trasferisce nelle carceri o nei centri di collegamenti dei trafficanti, considerati come luoghi non sicuri dall’UNCHR.
Questo sistema va avanti dal 2017, quando l’ex ministro dell’Interno italiano Marco Minniti e l’allora presidente del Consiglio libico Fayez al-Sarraj hanno firmato un Memorandum per ridurre la migrazione irregolare nel Mediterraneo centrale. L’Italia accettò di concedere finanziamenti al governo libico in cambio dell’impegno della Guardia costiera libica a pattugliare i confini dell’Europa meridionale. Strategia che ha dato i suoi frutti, dato che nei tre anni dall’accordo Italia-Libia sono stati intercettati in mare e riportati in Libia 60.000 migranti.
Nel frattempo, le organizzazioni non governative (ONG) impegnate in operazioni di ricerca e salvataggio (SAR) al largo delle coste libiche sono state ostacolate nel loro lavoro e accusate di partecipare alla tratta di esseri umani.
Le morti in mare
Un altro fattore da non sottovalutare per conoscere a fondo il fenomeno migratorio è l’aumento delle morti in mare. Secondo l’UNHCR, sono almeno 1.496 le persone che nel 2021 hanno perso la vita o si sono disperse nel tentativo di raggiungere l’Italia via mare.
Le morti lungo la rotta del Mediterraneo centrale sono notevolmente aumentate rispetto allo stesso periodo del 2020, quando il numero noto dei migranti annegati o dispersi era 955. Un’analisi realizzata dal Missing Migrants Project presso il Global Migration Data Analysis Centre (GMDAC) dell’OIM, mostra come l’aumento delle morti in mare avvenga per due principali ragioni: l’insufficiente numero di operazioni di ricerca e salvataggio e l’aumento dei migranti intercettati in mare al largo della costa nordafricana, spesso riportati in Libia.
A cosa servono questi dati?
E quindi? Cosa possiamo farcene di questi dati? Conoscere i numeri alla base del fenomeno è importante per comprenderne le dinamiche, il funzionamento e soprattutto per analizzare in che modo i media informativi li utilizzano. La narrazione giornalistica e la comunicazione, infatti, possono essere vittime delle stesse paure che caratterizzano la società, che portano con sé pregiudizi, visioni preconfezionate e immagini stereotipate di determinati fenomeni sociali. Quello migratorio è il fenomeno che, in Europa, più si presta a questo tipo di travisamento, in quanto porta con sé, da sempre, un forte senso di insicurezza e di distanza verso popolazioni, culture e colori diversi da quelli occidentali. Conoscere e rimanere aggiornati sul reale andamento delle migrazioni in Italia e nel mondo intero è essenziale per non cadere nel vortice di xenofobia, pregiudizi e propaganda che spesso media e politica tendono ad alimentare. Ma di questo ne parleremo nel prossimo articolo.