COP20 e lobbies: dietro le quinte dei negoziati
Tenuta sportiva e accento “British”. Si presenta così Pascoe Sabido, attivista climatico per il Corporate Europe Observatory (CEO), un piccolo think tank indipendente di Brussels che lavora per svelare l’influenza delle multinazionali e delle loro lobbies all’interno dei palazzi dell’Unione Europea (UE), in particolare nel processo decisionale e quindi anche all’interno del sistema delle Nazioni Unite (ONU).
“Le multinazionali dell’energia sono le principali responsabili del fallimento dell’Accordo di Copenhagen”, esordisce Pascoe senza mezzi termini. “La loro influenza durante i negoziati è stata enorme, sono la pulce nell’orecchio dei nostri governi. Giusto per fare un esempio, durante la COP19 di Varsavia, il gruppo Lotos, sponsorizzato da ArcelorMittal, Europress e altre, ha illustrato i ’benefici’ del fracking ai delegati del governo polacco affermando di ’impegnarsi’ per raggiungere l’eco-efficienza energetica. Sono riusciti, così, a bloccare le negoziazioni sul carbon market, il mercato delle emissioni. Il governo polacco è stato poi pubblicamente accusato di aver favorito gli interessi privati delle industrie estrattive a scapito di quelli dei cittadini.” Secondo Pascoe, fortemente criticato è stato inoltre il suo appoggio alla World Coal Association (WTA), Associazione Mondiale del Carbone, e all’organizzazione del summit internazionale sul Carbone e sul Clima, tenutosi a Varsavia il 18 e il 19 novembre 2013, parallelamente alla COP19. La WTA riuscì addirittura a far promuovere il logo del proprio evento sul sito del ministero dell’economia polacca.
Tuttavia, non sono solo multinazionali dell’energia a fare lobby: anche banche, come la Bank of America, e aziende farmaceutiche e dell’agrobusiness, come la Monsanto. “Per fortuna, e in parte anche grazie ai sit-in di protesta fuori dalla COP19, questa volta le cose sono un po’ cambiate, ma staremo a vedere”, racconta.
Pascoe è anche uno degli attivisti della Cumbre de los Pueblos, il network di organizzazioni di indigeni e campesinos che propone soluzioni e visioni alternative alla COP20 di Lima sul cambiamento climatico. “Lo sfruttamento delle materie prime per produrre energia è senz’altro al centro del nostro sistema economico, quindi è naturale che intorno ad esso girino grandi interessi. Meno male che all’interno dei grandi summit ONU lo spazio per il dibattito democratico è un po’ più ampio di quello che c’è, ad esempio, durante i summit del G-8 o del G-20, dove sono solo i governanti a riunirsi e a parlare tra loro. Per questo è importante sfruttarlo al meglio: durante le COP la società civile può davvero esercitare una certa pressione sui delegati, ma per farlo è importante conoscerne i meccanismi e muoversi insieme in maniera coordinata. La Cumbre è servita proprio a questo”, spiega.
Ma una domanda ci sorge spontanea: come si muovono i lobbisti durante le negoziazioni?
“Innanzitutto, il loro lavoro comincia molto prima dell’inizio delle negoziazioni. In Perù, per esempio, è stata esercitata una forte pressione sulla Camera di Commercio peruviana e, poco prima della COP, i lobbisti hanno ottenuto l’approvazione di un pacchetto di riforme, il Paquetazo, che rende più facile l’estrazione di petrolio e gas. Anche noi ci muoviamo in anticipo, cercando di capire su quali misure e su quali delegati faranno pressione e in che modo.”
È un fiume in piena Pascoe, che da anni lotta per fermare lo strapotere delle multinazionali nel decidere il destino del nostro pianeta. “Nel corso dei negoziati, per esempio, i grandi gruppi d’interesse che fanno parte della piattaforma World Climate Summit, come Philips e Alstom, organizzano meeting esclusivi, come il World Climate Day, ai quali si accede soltanto per invito e nei quali le multinazionali investono milioni di euro. In questi incontri, rappresentanti delle multinazionali dell’energia, quali Shell per citarne una, incontrano i delegati dei governi. Di solito è lì che di fatto vengono decisi gli accordi, come è successo a Varsavia.”
Ma come ci spiega Pascoe, ci sono anche altri modi a cui si può ricorrere. “Normalmente, poi, le multinazionali usano assumere personaggi di spicco dell’UNFCCC (Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici) o dei governi. È il cosiddetto revolving doors, un meccanismo, usato molto anche nel mondo della finanza, che vede il continuo movimento di persone da e tra il mondo della politica e dell’amministrazione pubblica ad attività economiche e di lobby per conto di grandi industrie. I nuovi assunti portano con sé la loro rete di contatti politici che poi avranno parola durante le negoziazioni. Si tratta quindi di convincerli ad appoggiare determinate posizioni anziché altre, per esempio per quanto riguarda l’approvazione dei country budget parte degli Intended Nationally Determined Contributions (INDCs), cioè gli impegni di ogni stato in termini di azioni decise a livello nazionale per contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici.”
Pascoe poi ci spiega come un altro meccanismo molto usato sia la creazione di false ONG che, utilizzando falsi risultati di scienziati negazionisti, dirottano parte dell’opinione pubblica lontano dalla verità.
Ma di fronte a tale sforzo, ci chiediamo quali siano i risultati concreti portati a casa da queste corporazioni. “Tramite questo intenso lavoro di lobby, le grandi multinazionali riescono a influenzare fortemente i negoziati sul clima, portando all’introduzione di diverse politiche pubbliche, che, mascherate dietro all’apparente interesse per la protezione ambientale, non fanno altro che creare nuove opportunità per i grandi colossi industriali e del settore finanziario”, ribadisce.
Vari sono gli esempi elencati dall’attivista, che abbiamo anche ritrovato in vari report e documenti redatti dalla sua organizzazione in collaborazione con il Transnational Institute (TNI) di Amsterdam, centro di ricerca specializzato nell’analisi delle problematiche globali, e Amici della Terra Internazionale(FoEI), altra organizzazione ambientale. Per citarne alcuni, il programma per la riduzione delle emissioni di CO2 attraverso la riforestazione (REDD+) e il processo di cattura e stoccaggio del carbone (CCS), che invece di portare alla modifica delle cause sistemiche della crisi ambientale, spingono per una finanziarizzazione della natura, resa merce vendibile quindi all’interno del sistema mercato. Un esempio è l’azione della Anglo American, una delle maggiori compagnie minerarie mondiali, che riesce a mantenere la sua attività estrattiva – fortemente inquinante e impattante – in Colombia presso la miniera Cerrejon, nel dipartimento de La Guajira, grazie allo stretto legame con l’UNFCCC e con i vari stati interessati. Ma non solo. “Organizzando insieme ad altri gruppo d’interesse cocktail party con i nostri governi e propinando false soluzioni alla crisi climatica – come REDD e CSS – Anglo American riesce a bloccare i sussidi per le rinnovabili e a favorire gli interessi delle industrie petrolifere”¹.
“Quello che noi chiediamo, e speriamo, è che l’anno prossimo a Parigi, le multinazionali del petrolio non abbiano alcun modo di influenzare le negoziazioni. Questo è il nostro obiettivo primario e per farlo stiamo mettendo in collegamento le persone”, spiega Pascoe. “C’è inoltre una campagna di TNI contro l’uso indiscriminato della Responsabilità sociale d’impresa (CSR), che è un modo per “lavare denaro sporco”, il famoso greenwashing, che ha come scopo la creazione di un reputazione positiva per l’azienda, nonostante i danni sociali e ambientali che causa. Tale campagna si chiama Stop Corporate Impunity “.
Anche noi speriamo che le cose cambino. La “lucha” quindi, continua a Parigi.