Io parto. No, tu no.
Ho studiato in Inghilterra. – Sono andato in vacanza in Thailandia.- Farò l’Erasmus in Finlandia.
Quante volte hai sentito discorsi come questi? Quante altre passando davanti all’università e guardando tutti quei ragazzi con le valigie mentre parlano di viaggi ti sei sentito come se ti trovassi in un aeroporto?
Viaggiare da una città all’altra, attraversare le nazioni e i continenti, è diventato talmente facile ed economico che per i ragazzi della cosiddetta generazione Z rappresenta la normalità. Per loro la libertà di movimento è un diritto irrinunciabile e non sanno cosa significhi non possederlo o come era vivere prima che la nascita dell’Unione Europea permettesse la libera circolazione di merci e persone.
A questo proposito, lo spettacolo teatrale intitolato Mare Rosso, messo in scena a Rovereto presso il Liceo A. Rosmini in occasione del Festival Educa, ha sollevato la questione della negazione dei diritti e, nel particolare, la negazione dell’articolo 13 della Carta dei Diritti Umani: la libertà di movimento.
Agli alunni della classe 4°LUB del liceo F. Filzi, in merito al progetto alternanza scuola-lavoro, è stato chiesto di mettersi nei panni di coloro a cui è stato negato un diritto e per riflettere con maggior consapevolezza è stato coinvolto un gruppo di ragazzi richiedenti asilo del progetto di accoglienza in Vallagarina coordinato da Cinformi Immigrazione.
L’incontro fra gli alunni e migranti ha aperto un dialogo di conoscenza e confronto da cui è nata una collaborazione per l’allestimento dello spettacolo. Quindi un modo per rifiutare l’etichetta di “profugo” dando un nome e un’identità a quei volti sconosciuti delle immagini dei media.
Un alunno della classe, offrendo la propria opinione in merito all’esperienza di collaborazione, ha detto: “Ovviamente avevo già sentito parlare di migranti che attraversano il Mediterraneo su dei barconi, ma ascoltare le storie di chi ha vissuto questa esperienza è tutta un’altra cosa”. Un’altra ragazza conferma e aggiunge: “Sembra surreale che ragazzi della mia età, che vanno a scuola come me, che hanno le mie stesse preoccupazioni e interessi, abbiano affrontato delle esperienze così toste”.
Martina, l’operatrice per l’accoglienza dei richiedenti asilo, sostiene che la logica dell’incontro è stata significativa nel progetto. “Nella nostra società che sta cambiando ci sono difficoltà e complessità che si possono superare creando occasioni d’incontro come questa.”
Infatti, spesso è la paura per quello che non si conosce che conduce alla chiusura e al rifiuto. “Voi avete paura di noi, che abbiamo perso tutto, eccetto la forza di sperare”, recitano i ragazzi. E proseguono interrogando i presenti: “È un crimine per noi lottare per i nostri diritti? Vivere una vita di speranze?”
Ma la più grande lezione è arrivata dalle parole un po’ incerte di Mawuto che non conosce bene l’Italiano, ma che ha le idee perfettamente chiare riguardo al messaggio che vuole comunicare: “Quando tu scappi dal tuo paese e arrivi in un paese che non è il tuo, devi fare di tutto per avvicinarti alle persone del posto e apprendere come vivono, ma nessuna cultura è al di sopra delle altre. Quello che devo fare è una sintesi, prendere quello che è buono della mia cultura e prendere quello che è buono della cultura di questo paese… Abbiamo fatto questo spettacolo per dimostrare alla comunità di Rovereto che anche noi siamo uomini. Non siamo cattivi. Siamo anche ragionevoli e possiamo abitare dentro la civiltà”.