Merica, gente del nord nell’America del sud (e viceversa)
Il nuovo documentario di Antonio Carone e Francesco Mazzella, prodotto da Nemesi Film di Martina Pasquini, narra la storia della migrazione dei trentini verso il Brasile alla fine dell’800, basandosi su racconti e memorie familiari.
di Monica Malfatti
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Ricostruire, attraverso i racconti di sei oriundi, il fenomeno migratorio di 150 anni fa e la “coda” che tale processo ha avuto su tutte le generazioni successive. È questo l’obiettivo di Merica, il nuovo documentario di Antonio Carone e Francesco Mazzella, costruito sulla scorta di memorie soggettive «che cambiano ovviamente da persona a persona – spiega Mazzella, autore del documentario – ma che, una volta messe in comune e rese collettive, hanno dato luogo a confronti fertilissimi e declinazioni diverse del medesimo processo migratorio che è al centro del racconto».
I sei protagonisti – dalla terza alla quinta generazione di migranti – sono dunque stati messi letteralmente ad un tavolo, negli spazi accoglienti di un maso altoatesino, a narrare e raccontare i percorsi, propri e delle loro famiglie, di fronte alle telecamere.
Un passo indietro nel tempo
A fine Ottocento, infatti, le valli trentine – ben lungi dal dimostrare quel progresso e quel benessere che la seconda rivoluzione industriale stava portando un po’ ovunque (almeno altrove) – vennero colpite da epidemie e catastrofi naturali, oltre che da una nuova povertà diffusa, nel disinteresse quasi totale dell’Impero austroungarico.
È in questo contesto che giunsero in Trentino voci speranzose provenienti da un’altra terra, tanto lontana quanto capace di accendere l’immaginazione e la fede: il Brasile. Un imprenditore italiano naturalizzato brasiliano, Pietro Tabacchi, ed in seguito il governo brasiliano stesso, avevano infatti deciso di distribuire terreni coltivabili – e una conseguente nuova vita – alle famiglie europee interessate a rivoluzionare in questo modo le loro esistenze. Le famiglie trentine risposero con entusiasmo, vendendo quel poco che possedevano (mucche, stracci, ma anche infissi smurati) per potersi pagare il viaggio oltreoceano.
L’arrivo in Brasile fu però deludente: non esistevano centri di accoglienza, i terreni descritti come coltivabili erano ancora da bonificare e le case interamente da ricostruire. Le epidemie da cui i contadini trentini erano fuggiti sembravano inoltre averli seguiti fin lì e il futuro non appariva più roseo del passato che si erano lasciati alle spalle. Ma, fra tutti i coloni europei che avevano subito il fascino del richiamo brasiliano, proprio i trentini sembravano essere i più tenaci e determinati: il primo insediamento, Nova Trento, ne porta la prova già nel nome. Spuntarono così empori e botteghe artigiane, si sviluppò il commercio intracoloniale e sorsero i primi impianti industriali, mentre i timidi agglomerati di casupole messi appunto si preparavano a diventare vere e proprie città, esistenti ancora oggi.
«Partire da questa storia è stato abbastanza complesso. – spiega Antonio Carone, regista – Di testimonianze, più che altro orali, ce ne sono parecchie. C’è molto meno materiale d’archivio, pertanto il lavoro nel reperirlo è stato faticoso».
Gran parte degli studi poi si sono generalmente concentrati sulle migrazioni di italiani negli Stati Uniti o in Sud America, senza una specifica che riguardasse il Trentino e il Brasile. «Nonostante questo, – prosegue Carone – esistono ovviamente degli esperti in materia: penso ad esempio a Renzo Maria Grosselli, che ha dedicato tutta la vita al tema e ci ha molto aiutati. Però il ventaglio non è così ampio come nel caso della migrazione italiana negli Stati Uniti, dove esiste una letteratura molto più vasta».
Di qui la scelta, coraggiosissima, di concentrarsi proprio sull’oralità: ovvero sui racconti e le preziose testimonianze dei discendenti, che costituiscono di fatto il fulcro stesso del film e del progetto.
Un innato senso d’appartenenza
Una delle cose più interessanti dell’intero lavoro è il richiamo che il Nord Italia sembra avere su tutti gli immigrati trentini in Brasile: una comunità che dimostra ancora oggi un forte senso di appartenenza al territorio dal quale proviene, nonostante in molti casi nemmeno lo conosca. Ed è proprio da quel senso di appartenenza che è stato possibile ricucire la storia di queste migrazioni, a partire dal 1875 ad oggi, che hanno riguardato addirittura intere famiglie.
Fra i sei testimoni intervistati nel film, ci sono per esempio zia e nipote, stabilitesi in Trentino una sull’esempio dell’altra, a fine anni Novanta. Ma anche madre e figlia, e non da ultimo una coppia di coniugi, capaci di costruire il proprio futuro “oriundo” sulle rive del lago di Caldonazzo.
«Ora il film è in fase di montaggio – conclude Martina Pasquini, di Nemesi Film – e siamo pronti a consegnarlo a Fondazione Caritro, che ci ha finanziati tramite un suo bando, a dicembre di quest’anno. Quello su cui stiamo ragionando è di poter cominciare a progettare la distribuzione del prodotto fra settembre e ottobre, cercando spazi e occasioni in cui poterlo presentare. Ci piacerebbe molto poter lavorare nelle scuole, o comunque in ambito formativo, cominciando un percorso che speriamo possa poi approdare anche a qualche festival».