Sette giorni in malga
Alla fine ce l’ho fatta: sono davvero andata in malga, ho munto le capre e accompagnato i pastori al pascolo. Ho mangiato tanto formaggio e dormito poco. Sono stata felice. Perché fare un’esperienza del genere? Per tornare alla vita cittadina con qualche idea (e qualche dubbio) in più.
Di Viola Ducati
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Il progetto Pasturs
Penso che in malga ci si possa finire in tanti modi diversi. Per lavorare – i pastori sono pochi e sempre più richiesti sul mercato del lavoro –, o per fare una vacanza differente, in quota, senza segnale telefonico, figuriamoci internet. Io ci sono arrivata per fare volontariato attraverso Pasturs, un progetto della cooperativa Eliante di Milano che da ormai otto anni ogni estate porta nelle malghe dell’Appennino Toscano e delle Alpi Occidentali e Orientali un gruppetto di giovani curiosi. L’obiettivo è parecchio ambizioso: aiutare gli allevatori e i pastori che si impegnano per una coesistenza pacifica con i predatori (leggi: lupi e orsi).
Ritmi da capra
Sul sito internet di Pasturs, alla voce “Come è strutturata la giornata?”, avevo letto che mi sarei svegliata all’alba, avrei fatto colazione e poi sarei andata a controllare gli animali. Ma quando sono arrivata a Malga Agnelezza, una bella struttura antica di legno e pietra in Val di Fiemme, per la precisione in Val Cadino, i pastori mi hanno spiegato che la sveglia sarebbe stata fissata alle 4.30, ogni giorno. E così è stato: alle 4.30 ci si alza, alle 4.45 si inizia a mungere, alle 6.30 è il momento della pulizia della stalla, alle 7 (finalmente albeggia!) della consegna del latte al furgoncino mandato dal Caseificio Sociale Val di Fiemme. A questo punto si fa colazione, si mette qualche panino imbottito nello zaino, si prende il bastone, si chiamano i cani da pastore e si è pronti per radunare il gregge e per partire per il pascolo. Anche la seconda parte della giornata è ben scandita: per le 17.30 gli animali devono essere di nuovo in stalla, alle 18 si parte con la seconda mungitura, alle 20.30, se non ci sono stati intoppi, si può pensare a cosa cucinare per cena.
Questi orari li ho imparati subito. Dal secondo giorno ho avuto l’impressione che fossero diventati una seconda natura, costruita non sulle fasi solari a cui ero abituata ma sui ritmi e sulle esigenze delle capre. In malga, infatti, sono loro a dettare legge. Hanno bisogno di essere munte due volte al giorno, per mantenere le mammelle in salute e stimolare la produzione di latte. E hanno bisogno di passare più tempo possibile al pascolo, perché durante l’alpeggio si nutrono solo delle erbe, delle foglie e dei frutti – ma le ho viste mangiare anche qualche fungo – che trovano nei boschi e sui prati.
Il tempo dei pastori, di conseguenza, diventa il tempo degli animali. Un tempo circolare, fatto soprattutto di presente, dove non c’è bisogno di preoccuparsi del dopo o del domani, perché ci saranno da compiere le stesse azioni del giorno prima. Un tempo noioso? Direi di no. Una routine? Sì, perché le cose si trovano sulla route, sulla strada che si percorre uguale tutti i giorni, non c’è bisogno di cercarle. Il tempo diventa una ruota che gira ma che non ti macina, perché ogni azione, ogni gesto è vivificato e reso imprevedibile dal rapporto con gli animali. “Il pastore riposa, non dorme”: ogni attimo richiede attenzione, consapevolezza, piena presenza mentale.
Il bosco che rinasce
All’inizio, camminando insieme al gregge in Val Cadino e nella zona del Passo Manghen, sono rimasta impressionata dal paesaggio desolato che si impone alla vista in ogni direzione: interi pendii nudi e spogli, ceppi divelti, tronchi alti mezzo metro rimasti in piedi. E poi tanti abeti grigi, pali drittissimi e sottili, fantasmi del bosco che erano. Qui Vaia, la tempesta mediterranea che nel 2018 ha provocato inondazioni e schianti in Francia, Italia, Croazia, Austria e Svizzera, ha colpito forte. E qui dopo Vaia è arrivato il bostrico, un flagello forse ancora peggiore perché giorno dopo giorno continua a mangiarsi le foreste.
Superato l’impatto iniziale, però, ho imparato ad apprezzare queste ceppaie, con le piante di lampone, le ortiche, i rovi e le alte erbe che con perseveranza provano a colonizzare queste terre inospitali. È la vita che ritorna, la potenza della natura che trova nuove strade per fiorire. Passare una giornata intera lì, in meno di un ettaro di pascolo, seguendo le capre avanti e indietro, su e giù, di traverso, di lato, mi ha permesso di vedere quello che durante le mie escursioni in montagna mi era sfuggito: c’è un mondo intero nel raggio di pochi metri, un intrico di forme di vita che convivono e comunicano tra loro. Le persone, le capre, le erbe, le radici, gli insetti, le cortecce a terra, i funghi, gli uccelli, ogni tanto un ruscello, le tracce di chi è passato nella notte.
A proposito di coesistenza
Il progetto Pasturs mira a promuovere la coesistenza delle attività di allevamento tradizionale con la presenza di lupi e orsi. Io avevo deciso di partire per la malga proprio per capire se questa coesistenza fosse possibile. Una settimana dopo – poco tempo, forse, ma intenso – non penso di aver trovato una risposta. Quello che ho trovato è un’altra domanda: città e periferie sanno ascoltarsi? Città/campagna, città/montagne, città/periferie sono mondi diversi, oggi sempre più lontani, con velocità, esigenze e orizzonti di futuro differenti. Forse la coesistenza parte proprio dal ricostruire un dialogo e riconoscere che qualche differenza sia legittima.