I popoli indigeni sono essenziali per salvare Madre Natura. Marishöri Najashi Samaniego Pascual ne è convinta
Marishöri Najashi Samaniego Pascual è Ashaninka, appartiene cioè a una delle popolazioni indigene della foresta pluviale amazzonica. È ambasciatrice della sua gente e membro dei comitati dell’Alleanza dei Guardiani di Madre Natura. In queste vesti, ha partecipato alla 23° Conferenza ONU sui Cambiamenti climatici (COP23) tenutasi a Bonn lo scorso novembre. È in quest’occasione che l’Agenzia di Stampa Giovanile la incontra e la ascolta raccontare dello stretto rapporto che unisce gli Ashaninka alla natura e di come i popoli indigeni siano pionieri nel campo della conservazione ambientale.
Vorremmo cominciare dalle sue origini: può presentarci gli Ashaninka?
Gli Ashaninka sono un popolo indigeno dell’Amazzonia e costituiscono il più numeroso gruppo etnico indigeno in Sudamerica – il primo in Perù e in Brasile. Ci organizziamo in clan e tra tutti noi corre un sentimento fraterno. Soprattutto, siamo determinati a riprendere il controllo della nostra condizione per proteggere il nostro stile di vita da chi lo minaccia.
Una parte fondamentale di questa operazione consiste nella difesa della foresta amazzonica, perché gli Ashaninka hanno uno stretto legame con la natura. Ha voglia di parlarcene?
Il nostro forte attaccamento alla natura deriva prima di tutto dal fatto che esistiamo grazie ad essa. Il nostro territorio è molto vario e ricco: produce cibo e medicine. Ci offre anche il materiale per costruire le case… Ma ultimamente molte delle nostre comunità stanno perdendo tutte le loro risorse. La situazione di disagio in cui si trovano conferma una convinzione molto radicata nella cultura ashaninka: conservazione dell’ecosistema e sviluppo si possono coniugare, possono andare di pari passi. Oltre a essere essenziale per la nostra sopravvivenza, proteggere la natura ha poi una valenza anche religiosa per noi: si tratta di rispettare lo spirito della natura. Per esempio, siamo attenti a non cacciare più del necessario, per non alterare i cicli naturali.
Quindi il cambiamento climatico rappresenta un grosso problema per la sua gente. In che modo lo avete sperimentato?
Voglio innanzitutto precisare che gli Ashaninka, come popolo indigeno, parlano con la voce dell’intero Pianeta ed esprimono preoccupazione per ciò che sta accadendo a livello globale, non solo in Perù o in Sudamerica – perché condividiamo tutti la stessa Terra.
Il modo in cui noi sperimentiamo i cambiamenti climatici e ambientali è molto duro. Per esempio, noi donne ashaninka ci occupiamo dell’artigianato e uno dei cambiamenti più radicali che abbiamo dovuto affrontare è la scomparsa della pianta da cui otteniamo il tessuto per confezionare gli abiti tradizionali del nostro popolo. Per trovare questa fibra vegetale, siamo costrette ad addentrarci sempre più nella foresta e, qualche volta, dovremmo attraversare le terre degli agricoltori, che però ce lo vietano.
La distruzione della natura non è un problema solo loro, ma gli indigeni sono sicuramente i più minacciati dagli sconvolgimenti ambientali causati dalle grandi multinazionali, dallo sfruttamento del petrolio e del gas naturale, dal disboscamento illegale portato avanti dai trafficanti di droga. Lo sono anche perché sono meno mediaticamente esposti e hanno meno mezzi economici e legali per potersi proteggere. Tante sono le minacce che provengono dal mondo politico, ad esempio. Per quanto riguarda gli Ashaninka peruviani, negli ultimi anni il movimento politico “Sendero luminoso” ha distrutto alcune nostre comunità della Selva. Nel 2015, le forze di sicurezza statali hanno liberato 54 Ashaninka, tra cui 3 bambini, che vivevano in schiavitù. Immagina problemi simili per tutte le popolazioni indigene dell’Asia, dell’Africa, di tutto il mondo. Ma nessuna di queste ingiustizie sembra essere abbastanza: i popoli nativi sono sempre ignorati. Non vengono mai coinvolti nelle iniziative che li riguarderebbero da vicino. Il 12 di questo mese [novembre 2017] il Presidente francese Emanuel Macron ha organizzato l’Earth Summit a Parigi, insieme all’ONU: una conferenza su ambiente e sviluppo. Mi è dispiaciuto molto vedere che i popoli indigeni sono stati esclusi. Io ho partecipato, ma pagando… Ho voluto sentire l’Accordo finale, vedere la Plenaria, essere testimone della copertura mediatica dell’evento. C’erano anche quattro attori famosi ambientalisti. Però i leader indigeni non c’erano.
Quindi, la sfida maggiore, ora, è proteggere la natura, fermare lo sfruttamento incontrollato delle sue risorse e includere nelle strategie di conservazione le popolazioni indigene. Noi nativi siamo la migliore strategia per salvare l’ecosistema e per generare sviluppo sostenibile. Lo stiamo già facendo e l’abbiamo sempre fatto: la nostra cultura è costruita in modo tale da farci vivere nella natura senza distruggerla.
Marishöri in ambiti ashaninka / ©Marizabeth/Shoñaki
Partiamo proprio da qui allora. Partiamo da una considerazione: nonostante la loro importanza per il benessere dell’ecosistema terrestre sia ormai riconosciuta, le foreste sono spesso abusate. Ce ne ha parlato anche lei: sfruttamento incontrollato, disboscamento… L’Amazzonia è in serio pericolo. Secondo lei, quali sono i modi rispettosi e proficui per gestire le foreste? Quali le strategie di cui gli indigeni si possono fare e si fanno garanti?
Ripeto, noi Ashaninka abbiamo un rapporto simbiotico con l’ambiente in cui viviamo: è ricco e vario, ci da tutto ciò di cui abbiamo bisogno. Purtroppo, però, ci sono comunità (anche nel nostro popolo) che non hanno più accesso alle risorse che sono fondamentali per la loro sopravvivenza. Quello a cui abbiamo pensato noi Ashaninka è unire i popoli, per costruire una politica ecologica coerente e proteggere la nostra cultura.
Siamo partiti ponendoci tre interrogativi: chi sono gli Ashaninka, cosa vogliono e dove stanno andando. La ricerca delle risposte ci ha portato a elaborare nuovi strategie e strumenti di mobilitazione. Per esempio, l’individuazione delle comunità indigene e la loro mappatura: abbiamo registrato le nostre comunità ed evidenziato i maggiori pericoli che corrono – che sono il cambiamento climatico, il narcotraffico, il disboscamento e il mancato riconoscimento da parte delle autorità statali. Abbiamo poi pianificato un Congresso binazionale, un’occasione che riunisce gli Ashaninka del Perù e quelli del Brasile. L’incontro e lo scambio con gli Ashaninka brasiliani è fondamentale per evitare che la nostra cultura scompaia: serve a mantenere viva la lingua, la conoscenza, l’arte, la musica, le tradizioni, lo stile di vita del nostro popolo.
E serve anche a confrontare le esperienze più drammatiche che viviamo. Siamo così riusciti a capire che il problema più urgente per le nostra gente è la siccità, che ci colpisce soprattutto nella stagione estiva ma che si manifesta anche nella stagione delle piogge con precipitazioni più scarse. La siccità comporta che l’aumento delle temperature e dell’intensità dei raggi solari durante l’estate causi un danno maggiore al nostro ecosistema, maggiore rispetto a quanto sarebbe se ci fosse acqua sufficiente per soddisfare la natura. Gli obiettivi che intendiamo raggiungere nel futuro sono dunque fermare il cambiamento climatico e approfondire la nostra educazione ambientale. Ci siamo già attivati in questo senso, attraverso progetti di gestione sostenibile delle risorse naturali e della produzione agricola: le nostre fattorie integrate non deforestano e impostano la loro attività in modo da ottenere il massimo raccolto rispettando i ritmi della natura. Con questo metodo, a Nord produciamo palma da olio e in Brasile la soia. Inoltre, le nostre comunità che abitano dentro riserve forestali sono attive nel prendersi cura, nel difendere la foresta: così vivono gli Ashaninka dell’area di Jurua e dell’Amazzonia centrale.
Le nostre azioni generano dunque tangibili benefici per l’ecosistema. Ma da sole non bastano: è necessario che il governo peruviano cominci a collaborare con noi Ashaninka, che cominci a integrare le nostre soluzioni nelle sue politiche ambientali. Vogliamo che dia a noi, figli e guardiani dell’Amazzonia, la possibilità di difendere la natura.
In sintesi, quindi, credo che l’unità del popolo ashaninka e il dialogo con le autorità peruviane siano i mezzi per proteggere l’ecosistema. Ribadisco ciò che ho detto prima: i popoli nativi sono fondamentali per la salute di Madre Natura.
Marishöri si è impegnata in prima persona nella difesa dell’ecosistema terrestre, partecipando a diverse iniziative ed eventi di sensibilizzazione e mobilitazione.
Per conoscere meglio queste sue esperienze, ti invitiamo a leggere la seconda parte dell’intervista – che arriverà prossimamente sul nostro sito.