Così sentiamo i cambiamenti climatici
Richard Stiegler, psicoterapeuta tedesco, ha presentato il suo nuovo libro, “Cambiamento climatico e limiti interiori” (Europa Edizioni, 2021), nel corso di un incontro organizzato dalla Rete dell’Alto Adige per la sostenibilità. L’abbiamo raggiunto online per porgli alcune domande.
Di Marianna Malpaga
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Perché è così che vanno le cose: sentire o leggere un messaggio è sempre utile, ma metterne in relazione il contenuto con la propria vita e farne esperienza concreta è quello che ci muove, ci modifica e ci tocca nell’interiorità più intima
Di Richard Stiegler
Richard Stiegler, psicoterapeuta tedesco, fondatore della scuola “SEELEundSEIN” e autore di questa citazione, è partito proprio “dall’interno” per spiegare i cambiamenti climatici. Nel suo nuovo libro, “Cambiamento climatico e limiti interiori” (Europa Edizioni, 2021), Stiegler porta un punto di vista innovativo nello studio sui mutamenti che stanno sconvolgendo la Terra: il punto di vista del singolo individuo, le sue paure e le sue ansie ma anche la sua capacità di azione.
“L’opinione pubblica – scrive Richard Stiegler nella prefazione a “Cambiamento climatico e limiti interiori” – si concentra più che altro sulla dimensione esteriore della questione climatica, prendendo in esame quindi le fonti di anidride carbonica, i possibili sistemi di riduzione delle emissioni, i punti critici e via dicendo. Per contro, quasi nessuno parla delle emozioni scatenate nell’uomo da una tale minaccia […]”.
Il libro è stato presentato lunedì 15 novembre durante un incontro promosso dalla Rete dell’Alto Adige per la sostenibilità, che racchiude più 70 organizzazioni impegnate nella promozione dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. L’obiettivo 13, in particolare, è dedicato alla “lotta contro il cambiamento climatico”. Abbiamo posto a Richard Stiegler alcune domande per approfondire la risposta psicologica ai cambiamenti climatici.
Quali sono i sentimenti più frequenti di fronte ai cambiamenti climatici?
Ci si sente emotivamente colpiti. I primi sentimenti sono sicuramente la paura e l’impotenza che, se non trovano un accompagnamento emotivo, si trasformano in negazione, difesa, rabbia e dipendenza. Credo che la dipendenza e l’aggressione potrebbero crescere con l’intensificarsi dei cambiamenti climatici ma anche con l’aumentare della consapevolezza delle persone su questo tema.
Che cosa intende quando parla di “dipendenza” come reazione ai cambiamenti climatici?
Le persone “si buttano” in dinamiche che danno l’illusione di poter dimenticare il problema iniziale, in questo caso i cambiamenti climatici. La dipendenza è come un’anestesia, che ti permette di non sentire più niente, nemmeno le emozioni negative, come rabbia e frustrazione.
Concentrarsi sulle piccole azioni che ciascuno di noi può compiere, anziché sulle “grandi questioni”, può aiutare emotivamente?
Sì. Ha un impatto importante da tre punti di vista. Il primo è l’impatto verso il clima, perché ogni singola azione che riusciamo a portare avanti e che è rispettosa dell’ambiente è utile. Poi, come secondo punto, c’è l’impatto sul singolo, su come si sente nei confronti di se stesso ma anche nei confronti dei suoi figli e delle generazioni future: se riesce ad attuare certi cambiamenti, se sente di essere “clima neutrale”, chiaramente si sente meglio. E in terzo luogo ci sarà anche un impatto sulle decisioni politiche, perché abbiamo bisogno di una pressione positiva e collettiva che permetta ai politici, che in alcuni casi vorrebbero prendere delle decisioni difficili, di farlo. C’è una certa difficoltà, infatti, a prendere delle decisioni serie a livello politico. Qui entra in gioco la necessità che ci sia una popolazione che inizi a vivere una vita “clima neutrale” a richiedere certe decisioni a un livello più alto.
Cosa limita l’assunzione di una responsabilità personale di fronte ai cambiamenti climatici?
Una dinamica difensiva è la razionalizzazione. In questo caso ci diciamo: “Sì, ma io sono piccolino! Che cosa posso cambiare? La colpa ce l’hanno ‘gli altri’: i cinesi, gli americani e, in generale, i politici”. Ma la proiezione verso la politica e verso gli altri Paesi, in realtà, fa parte di una strategia inconscia di difesa. Ognuno di noi emette 10mila tonnellate di CO2 all’anno, che corrispondono a 30 m3 di ghiaccio polare. Questa è una responsabilità personale con la quale dobbiamo riconnetterci per creare dei processi diversi, che ci aiutino a comprendere meglio il problema e a trovare una soluzione.
C’è una percezione diversa dei cambiamenti climatici tra uomini e donne e tra giovani e anziani? Le donne, infatti, sono più colpite dal loro impatto, mentre i giovani sono protagonisti delle proteste in piazza, tra cui quelle dei “Fridays for Future”.
È vero che, se ragioniamo a livello di numeri, a interessarsi dei cambiamenti climatici sono soprattutto le donne e i giovani. Però non posso dire di aver riscontrato una reazione diversa tra uomini e donne e tra giovani e anziani. I giovani hanno il vantaggio di sentirla come una questione più vicina, perché riguarda la loro vita. Però anche i genitori sono ugualmente preoccupati, perché c’è in gioco la vita dei loro figli e dei loro nipoti. Nel momento in cui ci permettiamo di affrontare il problema e di uscire dal limbo negazione-razionalizzazione, non possiamo fare a meno di avere una reazione emotiva tutta umana. Una reazione che non fa differenze di genere e di età.
Che cosa pensa dei risultati della COP26 di Glasgow?
La COP26 ci ha dimostrato che, da alcuni anni a questa parte, i cambiamenti climatici stanno diventando una questione di punta nell’agenda politica. Adesso se ne occupano i capi di Stato e di governo; fino a qualche anno fa, invece, era nell’agenda a un livello molto più basso. È un buon segnale, una “buona notizia” da Glasgow: c’è stato un cambiamento sostanziale nella percezione dei cambiamenti climatici: a livello personale, collettivo e politico. Bisogna però tener conto che la politica è solo una parte della risposta, che comprende anche una dimensione economica e finanziaria, e bisognerà attendere per vedere se le promesse di Glasgow – che peraltro non sono sufficienti – saranno mantenute o no.