Oceani e Poli vicini a soglie irreversibili

L’effetto del riscaldamento globale sulla criosfera (ghiacci marini e terrestri, permafrost e copertura nevosa) e sugli oceani è sempre più evidente e si stanno avvicinando le soglie che potrebbero portare i processi a un punto di non ritorno. Questo è il segnale della comunità scientifica riunita attorno all’International Cryosphere Initiative e che a Marrakech ha rinforzato il segnale che occorre agire in fretta per evitare, o quantomeno rallentare, il processo di avvicinamento a tali soglie di irreversibilità riducendo rapidamente le emissioni di gas serra prodotte dalle attività umane entro il 2030.La fusione del Mar Glaciale Artico e dei ghiacci della Groenlandia prosegue infatti inarrestabile per effetto del riscaldamento atmosferico. Nelle regioni polari è stimato essere due o tre volte più intenso di quello medio terrestre, ma anche per l’effetto del riscaldamento delle correnti oceaniche che lambiscono le zone artiche. I ghiacci dell’Antartide hanno perso complessivamente massa tuttavia con un segnale più marcato sull’Antartide occidentale.L’effetto più evidente della fusione glaciale è l’innalzamento del livello medio del mare che è cresciuto di circa 18 cm nell’ultimo secolo con incrementi superiori nell’area del Pacifico, creando i primi seri problemi alle popolazioni locali costrette a pianificare in alcuni casi l’abbandono delle proprie terre. Il livello del mare cresce non solo per la fusione dei ghiacci terrestri ma anche per l’espansione termica dovuta al riscaldamento dell’oceano che è accelerato negli utlimi decenni specie negli strati superiori.Ma è anche un altro il processo che interessa gli oceani e che preoccupa gli scienziati. Gli oceani infatti stanno contribuendo ad assorbire circa il 27% della CO2 presente in atmosfera. Questo tuttavia sta accelerando il processo di acidificazione dell’acqua del mare con conseguenze evidenti per gli ecosistemi marini contribuendo ad esempio allo scioglimento dei gusci calcarei delle conchiglie dei molluschi e del plancton calcareo nonché al fenomeno di sbiancamento dei coralli.Le fredde acque dell’Oceano Artico e dell’Oceano meridionale che circonda l’Antartide sono ricche di varietà di ecosistemi marini ma sono anche estremamente vulnerabili al processo di acidificazione dovuto all’aumento della CO2 assorbita. Sono già state superate soglie importanti dei livelli di acidificazione in queste regioni che stanno determinando i primi impatti su alcune specie marine. Il rischio in generale è che l’acidificazione degli oceani danneggi gli ecosistemi e indebolisca la catena alimentare in queste importanti riserve marine anche se fosse raggiunto l’obiettivo di mantenere il riscaldamento entro 2°C, come previsto dall’Accordo di Parigi.La comunità scientifica ha poi posto l’attenzione sul degrado del permafrost (terreno perennemente gelato) presente nel 24% delle terre dell’emisfero settentrionale e che interessa perlopiù le aree dell’Alaska, della Siberia e del Canada settentrionale. Il degrado del permafrost non è infatti solo origine dell’aumento dell’instabilità del terreno che sta determinando problemi ad esempio alle infrastrutture e ai trasporti ma ciò che preoccupa è la quantità di anidride carbonica e di metano immagazzinata nel permafrost e che, lentamente, verrà rilasciata.È difficile una stima dei gas serra immagazzinati dal permafrost ma il contributo sarà tuttavia importante e attualmente non viene considerato nel conteggio del budget di emissioni ancora possibili per limitare il riscaldamento a 2°C. In sostanza, la quantità di gas serra che realmente sarebbe possibile emettere a livello antropico è inferiore a quanto ipotizzato dalla comunità internazionale con l’Accordo di Parigi.Occorre quindi fare in fretta e con obiettivi di riduzione dei gas serra antropici molto più ambiziosi di quelli per ora previsti dai contributi volontari alla base dell’Accordo di Parigi. Per questo gli scienziati hanno suggerito alcune misure urgenti in particolare per quanto riguarda le politiche e gli accordi internazionali per la tutela degli oceani.La palla passa ora alle delegazioni ministeriali riunite nei tavoli di lavoro della COP 22 a Marrakech. Avranno capito l’urgenza di agire?

Fotografia:  Andrew C. Revkin/eyevine