L’elemento nascosto: il suolo nella mitigazione del cambiamento climatico

Quando parliamo di cambiamenti climatici il suolo non è proprio la prima cosa che ci viene in mente. Si parla di emissioni di anidride carbonica, di scioglimento dei ghiacciai, di innalzamento delle temperature, ma non si parla mai propriamente di cosa abbiamo tutti i giorni sotto i nostri piedi.
Ciò che sostenta il nostro mondo quotidianamente infatti, è uno dei fattori chiave che può aiutarci a mitigare l’effetto che il riscaldamento globale sta avendo sui nostri ecosistemi.La funzione principale di mitigazione che il suolo svolge è l’immagazzinamento di CO2, cioè il trattenimento di anidride carbonica e di altri gas che se liberati in atmosfera vanno ad incrementare l’effetto serra. Con le parole dell’Agenzia Europea per l’Ambiente, il suolo è la “seconda grande piscina”, dopo l’oceano, che cattura la CO2 e fa sì che questa non si liberi nell’atmosfera.
el momento quindi in cui il suolo viene danneggiato attraverso la deforestazione, l’erosione, la compattazione e l’urbanizzazione, la CO2 contenuta nel sottosuolo fuoriesce contribuendo così ulteriormente all’aumento delle temperature, all’acidificazione degli oceani e a tutte le altre conseguenze di cui spesso sentiamo parlare. Solo nel suolo europeo sono immagazzinate più di 75 miliardi di tonnellate di anidride carbonica che quotidianamente e gradualmente liberiamo attraverso le attività umane.
a in termini concreti a cosa andiamo incontro danneggiando il suolo? Il nostro suolo offre un’infinita varietà di servizi, che ci fornisce gratuitamente, e che vengono definiti servizi ecosistemici. Tra quelli più importanti troviamo la conservazione della biodiversità, la produzione di alimenti e i cosiddetti servizi di supporto, dove sono inseriti proprio l’immagazzinamento di carbonio, la regolazione della qualità dell’acqua ma anche il controllo dell’erosione e la protezione dagli eventi idrogeologici estremi. Temi che toccano molto il nostro territorio italiano che negli ultimi anni è stato vittima di fenomeni meterologici estremi causati anche da una cattiva gestione del suolo.
Nel Bel Paese infatti, secondo l’ultimo Rapporto ISPRA sul Consumo di Suolo, vengono distrutti in maniera praticamente irreversibile 55 ettari di suolo al giorno, in altre parole 6/7 metri al secondo.Una risorsa che potenzialmente quindi, se mal gestita, nasconde anche un grande problema. Ed anche di questo si sta discutendo a le Bourget, il quartiere parigino dove è allestita la ventunesima Conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, la cosiddetta COP21.Il tema dell’uso del suolo nei negoziati internazionali è inserito sotto la grande categoria del Land Use Land Use Change and Forestry (LULUCF), una categoria che da tempo ha visto riconosciuto un grande ruolo nella mitigazione dei cambiamenti climatici, anche se ad oggi risulta ancora difficile avere dei dati certi da questo settore poiché il monitoraggio riscontra diversi ostacoli.
E proprio l’LULUCF gioca una parte fondamentale all’Interno dei Contributi Nazionali Volontari (INDC), programmi annuali di riduzione delle emissioni che gli stati membri dovrebbero presentare periodicamente. Inutile dire che queste proposte sono state fino ad ora troppo poco ambiziose.Come ha sostenuto Lucia Perugini del centro Euro-mediterraneo sui Cambiamenti Climatici, durante un incontro alla COP21, le conseguenze del cattivo uso del suolo non si vedono tanto a livello globale quanto a livello locale.
Ed è quindi proprio a livello locale che è urgente pensare delle politiche di mitigazione senza continuare ad aspettarsi delle direttive imposte dall’alto, spesso poco efficaci e talvolta poco adatte ai territori in cui devono essere applicate.Le soluzioniInvertire la rotta è possibile e per farlo non servono miliardi di dollari per finanziare tecnologie avanzate e sistemi di ricerca da quarto millennio. La soluzioni già esistono, ma attualmente non sono abbastanza e necessitano quindi di un’ulteriore sviluppo.
 La compensazione attraverso la riforestazione ad esempio è una di queste.Serve senza dubbio investire di più nella formazione degli amministratori locali, in modo tale che questi possano essere coscienti dei danni a cui vanno incontro ma che sappiano anche che le alternative di crescita sono possibili e che non dobbiamo più necessariamente distruggere il nostro territorio per definirci “sviluppati”.
Milena Rettondini