Cambiamento climatico e Obiettivi di Sviluppo Sostenibile: una relazione complicata

La COP 23 può essere considerata una COP di transizione, da un mondo senza Accordo di Parigi ad un mondo che sta lavorando per darvi attuazione. E se il mondo sta guardando al 2020, quando l’Accordo approvato alla COP 21 inizierà ad avere effetto, un’altra data fondamentale da tenere a mente è il 2030.
Il 2030 potrebbe sembrare molto lontano nel futuro, ma non se iniziamo a parlare della lotta ai cambiamenti climatici. Soprattutto nel momento in cui si mettono a confronto i due principali obiettivi che le Nazioni Unite si sono posti in questi ultimi anni: combattere i cambiamenti climatici e raggiungere i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs, nell’acronimo inglese).
L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile
, che è stato uno dei temi principali affrontati alla COP a partire da Parigi, è stata elaborata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel Settembre 2015 come successore degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (2000-2015). Come per il programma precedente, è stato dato agli stati un ultimatum di quindici anni per raggiungerli. E molti di essi riguardano direttamente il cambiamento climatico.
Ma la lotta al cambiamento climatico non deve essere considerata solo una sotto-categoria degli SDGs. Quando mettiamo i due temi assieme, le cose iniziano ad essere complicate. Ogni obiettivo è strettamente collegato ad un altro e i negoziati diventano di conseguenza complicati.
Di questo rapporto di amore-odio si è discusso nella giornata di ieri in una serie di incontri tematici. Come sottolineato dalla Dott.ssa Maria Amparo Martinez Arroyo -Direttrice Generale dell’Istituto Messicano di Ecologia e Cambiamento Climatico e membro della delegazione messicana alla COP-, per fare ricerca e prendere decisioni nell’ambito dei cambiamenti climatici e degli SDGs, è necessario mettere insieme una gamma di conoscenze differenti, dalla scienza all’economia, dalla politica alla legge. Il primo passo verso delle negoziazioni efficaci è quindi la presenza di questa diversità di competenze fra i negoziatori, nonché l’inclusione della conoscenza tradizionale, e la possibilità delle comunità di poter dire la loro.
Il kenyota Charles Tonui, del Centro Africano per gli Studi Tecnologici, lavora sulla tematica nel continente africano, promuovendo la traduzione dal linguaggio scientifico ad uno che le comunità possano comprendere, soprattutto per ciò che riguarda l’adattamento e lo sviluppo. Le comunità sono così in grado di maturare le competenze necessarie per essere efficacemente coinvolte nel processo decisionale.
La necessità di coinvolgere maggiormente le comunità locali è condiviso da Asun St. Clair, rappresentante norvegese all’UNFCCC, che ha sottolineato come “nella ricerca sui cambiamenti climatici, gli esseri umani non sono considerati, e questo è una grande lacuna”. Considerando che quando combattiamo il cambiamento climatico non combattiamo per l’esistenza del pianeta in sé, ma per la sopravvivenza del genere umano e animale su questo pianeta, gli SDGs diventano uno strumento fondamentale per tenere a mente i bisogni delle persone e delle comunità di diverse aree del mondo. La ricerca della sostenibilità non deve mettere a repentaglio la sopravvivenza delle comunità locali, della conoscenza tradizionale e indigena. E non dovrebbe mettere in pericolo neanche il benessere economico delle regioni: secondo St. Clair, le aziende non dovrebbero venire danneggiate dalle politiche che supportando gli SDGs  e non dovrebbero essere viste come nemiche ma trovare il modo di fare profitto agendo in modo sostenibile. Una volta ancora, è assolutamente importante creare le connessioni e le collaborazioni fra diversi attori per raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030 e limitare efficaciemente i cambiamenti climatici.