Docutainment: dove realtà e intrattenimento si intrecciano 

Raccontare fatti di cronaca attraverso i media di intrattenimento sta diventando un fenomeno sempre più presente e diffuso nel nostro panorama nazionale. Dalla serie sul caso Elisa Claps a quella più recente sul caso Yara Gambirasio, tante sono le “docutainment” (documentario + entertainment) sul piccolo e grande schermo capaci di sollevare complesse questioni riguardanti l’etica e la responsabilità.  

Di Kiria Zunica

Il caso di Elisa Claps e quello di Yara Gambirasio sono due tra i fatti di cronaca nera più sconvolgenti degli ultimi tempi avvenuti in Italia. In entrambe le vicende due giovani ragazze sono state strappate alla vita in modo atroce scatenando un’ondata di dolore e lasciando un vuoto incolmabile. 

Il caso Elisa Claps: una verità lunga 17 anni

Elisa Claps, giovane ragazza di 16 anni, scompare improvvisamente il 12 settembre del 1993 dopo essersi recata presso la Chiesa della Santissima Trinità a Potenza. Da quel momento non si hanno più sue notizie. La scomparsa resta avvolta nel mistero per 17 lunghi anni, durante i quali si alternano dubbi, bugie, false piste e indagini mal svolte. Danilo Restivo, riconosciuto poi come il responsabile dell’omicidio di Elisa, fu  oggetto di sospetti sin dall’inizio, anche per la sua ossessione verso la ragazza, ma ci vollero anni prima che venisse ritenuto colpevole della morte della giovane.

Il corpo di Elisa venne ritrovato solo il 17 marzo del 2010 nel sottotetto della Chiesa della Santissima Trinità: questa scoperta destò sconcerto e clamore non solo nei familiari che da tempo avevano tentato di avere accesso alla stessa, ma anche nell’intera nazione per la mancanza di trasparenza e tempestività nelle ricerche svolte negli anni precedenti.

Nella serie “Per Elisa- il Caso Claps”, il regista Marco Pontecorvo racconta con minuziosità e rigore il lungo e travagliato percorso intrapreso dalla famiglia Claps per arrivare alla più crudele e dura delle verità. Il racconto mette in luce le ombre, l’omertà e le omissioni delle istituzioni e di una città intera che forse sapeva, ma che non ha mai voluto parlare fino in fondo.

“Per Elisa” vuole trasmettere il valore della realtà e della giustizia, il peso dell’indifferenza e della negligenza ma soprattutto l’importanza della resilienza da parte della famiglia Claps che, nonostante il trascorrere del tempo, le ingiustizie e le sofferenze alle quali era quotidianamente sottoposta, non ha mai smesso di lottare e credere che la verità per Elisa avrebbe trionfato.

La serie, disponibile su Rai Play e approdata da agosto anche su Netflix, ha subito riscosso un grande successo tanto da raggiungere il primo posto nella top ten della piattaforma. Già dopo il primo episodio è evidente quanto sia stata fondamentale la stretta collaborazione fra il regista e la famiglia Claps nel riuscire a realizzare un racconto che fosse al tempo stesso coinvolgente, veritiero e reale. Dalle colonne sonore alla struttura narrativa, passando per le interpretazioni degli attori protagonisti, tutto concorre a creare un’opera rigorosa e impeccabile. La regia, adottando un approccio serio e mai sopra le righe, invita gli spettatori non solo alla visione ma anche ad una riflessione profonda sulla vicenda, evitando inutili esagerazioni o sensazionalismi. “Per Elisa- Il caso Claps” è un racconto intenso, che tocca il cuore e che rende giustizia ad Elisa e alla lunga battaglia della sua famiglia. 

Il caso Yara Gambirasio: un’altra tragedia italiana 

Immagine che contiene testo, poster, grafica, libro

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Yara Gambirasio, giovane ragazza di 13 anni, scompare il 26 novembre del 2010 a Brembate di Sopra, in provincia di Bergamo. Il suo corpo viene ritrovato solo tre mesi dopo in un campo a Chignolo d’Isola, a pochi chilometri di distanza dalla sua casa. Le indagini susseguitesi nel tempo hanno portato nel 2014 all’arresto di Massimo Bossetti, dopo una dettagliata ricerca basata su prove genetiche.

La vicenda ha colpito profondamente l’opinione pubblica e oggi torna in primo piano con l’uscita della nuova serie Netflix: “Il caso Yara- Oltre ogni ragionevole dubbio”. Il racconto, che per la prima volta pone al centro dell’attenzione la voce e la figura dell’ergastolano, ha innescato un ampio dibattito pubblico, sollevando numerosi interrogativi e perplessità. Molti ritengono che la serie abbia l’obiettivo di riaprire la discussione sulla colpevolezza e il coinvolgimento di Bossetti nel caso, esplorando le incertezze e le possibili lacune nelle indagini.

Dopo la visione della stessa, infatti, si è scatenata un’ondata social non indifferente accompagnata dall’hashtag #freebossetti in cui le persone hanno cercato di farsi portavoce dell’innocenza dell’uomo. Tanti altri, invece, continuano a ribadire la responsabilità di Bossetti, già condannato in tutti e tre i gradi di giudizio, sostenendo come questo racconto non faccia altro che trasmettere nuova ed ulteriore sofferenza ad una famiglia che ha dovuto affrontare la prova più difficile della sua esistenza: la perdita di una figlia strappata alla vita e ai suoi giovani sogni. 

I pericoli della spettacolarizzazione 

Negli ultimi anni, vecchi e nuovi media stanno puntando sempre più l’attenzione su fatti di cronaca nera ma ciò che sta cambiando è l’approccio utilizzato nell’affrontare vicende di questo tipo. Se un tempo era importante informare, ora si privilegia lo spettacolo al contenuto. Talk show, programmi di approfondimento e persino i notiziari tendono a sensazionalizzare gli eventi trasformando la sofferenza umana in un prodotto da consumare con l’obiettivo di rendere più vendibili le storie

Con l’avvento delle “docutainment”, una perfetta commistione di informazione e intrattenimento, questo trend si è amplificato e popolarizzato. Questi prodotti, infatti, ripercorrono le più famose vicende di cronaca combinando documentazione accurata e ricostruzioni sceniche coinvolgenti, rischiando, però, una manipolazione della realtà a fini narrativi. Serie tv come quella più recente sul caso di Yara Gambirasio malgrado puntino i riflettori su fatti reali, adottano un taglio narrativo capace di alimentare ulteriori dubbi e perplessità.

In questo modo, da una parte si mantiene vivo l’interesse degli spettatori, ma dall’altra c’è il pericolo di strumentalizzare il dolore. Sfruttare la sofferenza mediaticamente può essere estremamente doloroso per la famiglia delle vittime. La continua esposizione dei dettagli della vicenda prolunga e intensifica il trauma vissuto. Non solo. Serie tv e film rischiano di orientare l’opinione pubblica in una determinata direzione portando, alla diffusione delle cosiddette “teorie del complotto”. Alcune di queste, infatti, seminano il dubbio sulla validità delle indagini e sulla possibilità di errori giudiziari favorendo l’emergere di teorie, appunto, complottiste capaci di minare la fiducia nelle forze dell’ordine e nel sistema giudiziario. 

La spettacolarizzazione della cronaca attraverso i media può essere fortemente dannosa se non gestita con responsabilità e rispetto per l’accaduto. Il confine tra informazione e intrattenimento è sottile, pertanto, è importante non oltrepassarlo. Se la spettacolarizzazione continua ad imporsi e a ricoprire un ruolo dominante, potremmo lasciarci distrarre da ciò che è veramente importante: la ricerca dell’evidenza e della realtà e il rispetto per chi ha vissuto queste storie sulla propria pelle.