Migrazioni: La storia “dipinta” di MuAhammad

Incontro Muahammad alla residenza Fersina di Trento una soleggiata domenica di maggio. E’ il giorno dei musei aperti così con un gruppo di altri richiedenti asilo ne approfittiamo per visitare il Museo delle scienze. Tra orsi imbalsamati e ricostruzioni degli ambienti alpini Muahammad riconosce qualche animale che si trova anche nel suo paese, il Pakistan, e tra un selfie e un altro mi racconta del suo viaggio per arrivare in Italia.
Muhammad è un ragazzo sulla trentina che, da quanto mi racconta, prima di partire lavorava in una ONG pakistana impegnata a garantire il diritto di istruzione soprattutto alle donne. L’instabilità politica e le continue violenze dei talebani (mi mostra alcune cicatrici sulle braccia e alcuni video sul cellulare) non gli lasciano molta scelta. Decide di partire per l’Europa con un suo amico. Solo lui arriverà a destinazione.
Una volta partito dal Pakistan, il primo difficile confine da superare – mi racconta – è stato l’Iran. Caricato insieme ad altre 35-40 persone su una Jeep attraversa il deserto iraniano fino a Shiraz, nella regione di Fars. Da lì verso nord il tragitto è proseguito a piedi per circa 7 giorni attraversando la foresta, “si camminava solo di notte e non c’era acqua”. Poi si è ripreso in macchina, viaggiando due giorni nascosti nel cofano, molti non ce l’hanno fatta. Per arrivare in Turchia dall’Iran è stato necessario valicare a piedi le montagne a confine tra le due regioni per arrivare fino alla città di Van. In Turchia rimane due mesi a lavorare per ripagarsi i costi del viaggio. Una volta raccolti i soldi, confezionando scarpe in una bottega, raggiunge in autobus il punto in cui Oriente e Occidente si incontrano: il ponte sul Bosforo. Muhammad a quel punto è messo davanti ad una scelta: proseguire via mare o via terra. Decide di raggiungere l’Europa via mare e viene così messo su un gommone insieme ad altre dodici persone alla volta dell’isola greca di Kos. Viene separato dall’amico con cui è partito dal Pakistan il quale viene fatto salire su un altro gommone. Il numero di persone su entrambe i gommoni superava il limite della capienza massima ma “quelli avevano le pistole e anche se i gommoni potevano trasportare un massimo di otto persone siamo saliti in dodici, ma non c’era scelta, o salivi o sparavano”. Durante la traversata il gommone che viaggiava insieme a quello in cui era Muahammad affonda “senza la possibilità di trarre in salvo nessuno, neanche il mio amico è riuscito a salvarsi”. Giunge in Grecia per intraprendere la rotta balcanica ma il confine con la Macedonia è chiuso. Filo spinato, non si passa. Venti giorni di attesa. Riesce a passare solo quando la foto simbolo di Aylan, il piccolo siriano morto sulla costa turca fa il giro del mondo e i riflettori si accendono sulle ingiustizie che avvengono ai confini della tratta. Da lì in poi, dice Muahammad, il viaggio diventa più facile, tra autobus e treni attraversa la Serbia, la Croazia, la Slovenia, l’Austria e infine arriva in Germania da dove viene mandato in Italia. Il suo viaggio durato più di tre mesi si conclude a Trento. Qui per lui inizia una nuova vita. Nei suoi mesi passati alla residenza Fersina inizia a dipingere tutto quello che la sua memoria gli restituisce dei tre mesi di viaggio. A ottobre del 2016 i suoi quadri sono stati esposti ad una mostra. Oggi Muahammad vive in un appartamento poco fuori Trento insieme ad altri ragazzi del Pakistan e continua a dipingere splendidi quadri. Ringrazio di cuore Muahmmad per avermi mostrato i suoi dipinti e per avermi accolto a casa sua insieme ai suoi inquilini.