La missione della COP24: trasformare Parigi in realtà

Molto probabilmente il 2018 sarà ricordato come un anno-bivio per il nostro pianeta. La strada che porta alla città polacca di Katowice, purtroppo, è però disseminata di CO2 – più nello specifico, di carbone – e tutto fuorché buone notizie. A partire da oggi e fino al 14 dicembre, infatti, la capitale mineraria della Slesia ospiterà la 24esima Conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici. I leader mondiali hanno in agenda l’approvazione di una serie di regole e procedure (il cosiddetto “Rulebook”) per rendere finalmente operativo l’Accordo di Parigi sul clima del 2015, entrato in vigore nel 2016 e – nella migliore ipotesi – operativo dal 2020.


Dai recenti negoziati intermedi, tuttavia, non sono emersi segnali incoraggianti. Incontratisi in Germania a maggio, i delegati hanno dovuto organizzare in fretta e furia una sessione negoziale aggiuntiva, poi tenutasi in settembre in Thailandia, a fronte di frizioni su alcuni temi-chiave (finanza climatica, misurazione dei progressi) apparentemente insormontabili. Al termine della sessione aggiuntiva la segretaria esecutiva della convenzione ONU sul clima, Patricia Espinosa, ha dichiarato che gli stessi negoziati avevano visto poco più che limitati passi avanti. La bozza del Rulebook, adesso lunga 307 pagine, arriverà sui tavoli dei delegati presenti a Katowice ancora piena di punti in dubbio, premessa per lunghe nottate di negoziati. Molti osservatori si chiedono ormai se la COP di Katowice potrà davvero portare ad un qualche risultato.
Il Rulebook, come detto, dovrebbe divenire la chiave di volta operativa dell’Accordo di Parigi a partire dall’inizio del suo periodo di operatività, ossia dal 2020. Esso dovrebbe garantire misure di trasparenza e comparabilità delle azioni climatiche poste in essere dai singoli stati. Inoltre, lo stesso Rulebook dovrebbe fornire elementi univoci di valutazione delle stesse azioni in vista dei previsti cicli di controllo e monitoraggio del funzionamento dell’Accordo nei prossimi decenni, di modo da raggiungere l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale entro i 2 gradi, preferibilmente 1,5, rispetto all’inizio del secolo, e di farlo in maniera regolata e collettiva.
Ma quali saranno le informazioni che saranno richieste ad ogni paese in vista dei cicli di monitoraggio e controllo? In che modo i futuri contributi nazionali, documenti elaborati da ogni singolo paese e contenenti le promesse di ognuno in termini di abbattimento delle emissioni e azioni di adattamento, dovranno essere aggiornati al rialzo? Questa procedura vedrà differenze metodologiche fra i paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo, anch’essi sottoposti a monitoraggio per la prima volta? A tutte queste domande al momento non vi è risposta.
Fra tanti dubbi, vi sono comunque notizie positive. Il 2018 è stato l’anno del cosiddetto Dialogo Talanoa. “Talanoa” è una parola tradizionalmente usata dalle popolazioni dell’Oceano Pacifico per indicare un processo inclusivo e trasparente, ed il segretariato ONU per il clima ha preso spunto della Presidenza Fiji della COP23 per lanciare, appunto, un esperimento partecipativo allargato agli attori non-statali e della società civile in vista della COP24. Durante l’anno più di 90 eventi nazionali, regionali e internazionali si sono registrati come affiliati al Dialogo Talanoa ed hanno dato risalto ad innovazioni e buone pratiche. Fra i più importanti spicca sicuramente il California Global Climate Action Summit dello scorso settembre, simbolo della risposta della società civile americana alla scelta del presidente Donald Trump di ritirarsi dall’Accordo di Parigi.
L’ondata positiva di iniziative climatiche da parte della società civile, delle associazioni di città e del mondo delle imprese, tuttavia, non può distrarci dalla dura realtà di un pianeta ad emissioni ancora crescenti nonostante le promesse del 2015. Gli impatti dei cambiamenti climatici già oggi infliggono ai più poveri del mondo sofferenze ed ingiustizie forse evitabili.

La COP24 mostrerà al mondo fino a che punto la diplomazia multilaterale sia davvero in grado di spingere il mondo verso un mondo più giusto ed abitabile, ed un modello di sviluppo radicalmente diverso da quello perseguito negli ultimi 100 anni dalle civiltà occidentali. Giusto poche settimane fa il report speciale dell’IPCC, il più autorevole pool di scienziati sul clima a livello globale, ci ricordava che per salvare il pianeta per come lo conosciamo potrebbero rimanere poco più di 10 anni, iniziando a cambiare il nostro modo di vivere e le nostre politiche da subito.

Il Dialogo Talanoa del 2018 è stato strutturato su tre domande chiave, care ai navigatori polinesiani: “Dove ci troviamo?”, “Dove vogliamo andare?”, e “Come ci arriviamo?”. Se il mondo della scienza può dare risposte esaurienti alla prima ed alla terza domanda, sta adesso ai delegati nazionali a Katowice confermare che il mondo della politica non ha cambiato idea sulla seconda. Non c’è più tempo: la COP24 deve trasformare le promesse di Parigi in realtà.