“Cacciateli!”: quando il passato si fa presente

di Caterina Anselmi Kaiser, Beatrice Ferrari e Beatrice Ferretti, articoliste dell’Agenzia di Stampa Giovanile

Se vi foste trovati il 13 gennaio 1961 alla stazione di Catania, avreste assistito ad una scena curiosa. Osservando un treno fermo lungo i binari, avreste visto una ragazza costretta a farsi issare attraverso il finestrino. Il convoglio era talmente affollato che non si poteva fare altrimenti. La destinazione del treno era la stazione di Milano Centrale, ma la meta di quegli uomini era un’altra: la Svizzera. Quella giovane donna era la madre di Concetto Vecchio, autore di “Cacciateli! Quando i migranti eravamo noi”. L’autore ha discusso la propria opera, sospesa tra romanzo biografico e storiografia, lo scorso 8 novembre a Bolzano in occasione dell’ultimo incontro del ciclo di eventi “Esodo e confini 2019”, giunto ormai alla quarta edizione e promosso dal centro di formazione Cedocs, con il sostegno della Presidenza della Provincia di Bolzano e della Fondazione Cassa di Risparmio.

Il libro racconta innanzitutto la storia dei genitori di Vecchio e delle migliaia di Italiani che come loro si trasferirono in Svizzera, ma lo fa a partire da un evento storico: un referendum popolare promosso dal politico James Schwarzenbach, unico deputato del partito Azione Nazionale. Il referendum, che si tenne il 7 giugno 1970, proponeva di espellere 300 mila lavoratori italiani che risiedevano regolarmente in territorio svizzero. Benché il paese stesse vivendo un periodo di crescita economica, e il tasso di disoccupazione fosse pari a zero, l’iniziativa ottenne il 46% di voti favorevoli. Il romanzo di Vecchio, dunque, è anche il tentativo di rispondere ad una domanda che non si può evitare di porsi: come fu possibile per la campagna di Schwarzenbach contro “l’inforestierimento” (termine in lingua tedesca usato in politica per suggerire l’eccesso di immigrazione) della Svizzera suscitare un simile consenso in un periodo di tale prosperità economica?

Per l’autore, la risposta è una: “Le ragioni che fondano il populismo traggono il loro fondamento dal fattore identitario, più che dal fattore economico. Questo è uguale, ieri come oggi”. Schwarzenbach, considerato il primo populista della storia, è un intellettuale sofisticato che sa leggere gli umori della popolazione e sa come guadagnarne l’approvazione. Egli capisce ben presto ciò che ogni populista moderno ha ormai chiaro: “Non bisogna essere razzisti. O meglio, non bisogna dichiarare di essere razzisti. Bisogna esserlo”. Se un aperto e ostentato razzismo rischia di alienare gran parte dell’elettorato, la paura per lo straniero è più sottile, celata dietro affermazioni apparentemente ragionevoli e manifestazioni di amore patriottico, è capace di conquistare anche quella parte di popolazione che rifugge gli estremismi.

La storia dei migranti italiani, dei pregiudizi e delle violenze psicologiche di cui furono vittime solo perché desideravano un futuro migliore per sé e per le proprie famiglie, è paradossalmente sempre più attuale con l’avanzare del tempo. Opere come quelle di Vecchio ci impediscono di scordare che la storia scorre, ed è con le nostre azioni nel presente che scegliamo se avanzare con lei, o puntare ostinatamente i piedi per venirne travolti.

Guardando al futuro dei migranti in Italia, Concetto Vecchio pensa che ci saranno forme di integrazione di stranieri che guarderanno a questa stagione ponendosi questa domanda: “Com’è stato possibile che venivamo trattati così?. La stessa domanda si fanno alcuni Italiani quando tu gli chiedi di raccontare le storie di quegli anni lì. E ce ne vergogneremo”.