La lunga marcia dei candidati climatici
Quasi sei anni dopo la mobilitazione lanciata da Greta Thunberg, i giovani attivisti del clima arricchiscono la politica e arrivano al Parlamento europeo. Ma AVS ora deve fare una scelta.
Di Clara Pogliani, portavoce e co-fondatrice di Ci sarà un bel clima, collettivo di attivistə impegnatə nel rafforzare la causa climatica italiana e, per questo, promotorə degli Stati generali dell’azione per il clima.
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Esistono marce che possono impiegare quasi dieci anni, prima di arrivare al traguardo.
Era il 30 novembre 2015 quando, in occasione del primo giorno della Conferenza sul clima a Parigi, in oltre 100 paesi più di 50.000 persone hanno scioperato per chiedere impegni seri ed immediati su decarbonizzazione e transizione ecologica. Ma è stato solo tre anni dopo, nel novembre del 2018, che la mobilitazione è diventata globale e permanente.
L’onda di Greta Thunberg
Gli scioperi settimanali di Greta Thunberg hanno sollevato una marea che ha continuato a montare per anni. Mai prima di allora si era vista così tante persone – e persone così giovani – mobilitarsi per una comune causa ecologica.
Già nel marzo del 2019, quando milioni di persone sono scese nelle piazze di tutto il mondo (più di cento città soltanto in Italia), era chiaro che il mondo era cambiato. A camminare tra le 100.000 che erano confluite in Piazza Duomo a Milano, si aveva l’impressione di aver attraversato un passaggio dimensionale.
La forza dei giovani
Il mondo sembrava ancora lo stesso, ma per la prima volta vibrava di possibilità: la crisi climatica era già visibile, le sue ricadute già calcolabili, ma ancora lo si poteva scambiare per un problema meno impellente di altri. Eppure ecco un’intera generazione, una fascia anagrafica che fino ad allora era stata bollata come ignava e individualista, che si raccoglieva a urlare richieste puntuali e ragionate.
L’umanità stava affrontando la più grande minaccia esistenziale della sua storia, le soluzioni esistevano, eppure chi aveva il potere di adottarle sembrava voler relegare il problema in fondo alla lista delle priorità; la loro presenza in quelle piazze era un messaggio chiaro: non l’avrebbero tollerato. Mai si erano visti giovani tanto preparati e determinati reggere striscioni e cartelli.
A chi chiedeva loro perché fossero così arrabbiati rispondevano “perché ci stanno rubando il futuro”; e qualcuno chiosava “come ci hanno rubato il presente.”
Non un fenomeno passeggero
Era facile, fin troppo facile, derubricare quell’exploit come un fenomeno passeggero, e tanto inchiostro è stato speso per liquidare quella marcia come una fiammata innocua, destinata ad essere spenta dai primi venti.
Ma quella marcia non si è interrotta, quella generazione ha continuato a raccogliersi, si è organizzata, si è attivata, ha trasformato la rabbia in determinazione, ha studiato, ha formulato proposte, ha chiesto udienza alla politica e dalla politica è stata ignorata; quella generazione ha marciato e marciato, è sopravvissuta a una pandemia globale e alle bordate del negazionismo, e nel farlo ha letteralmente cambiato il mondo.
Non era pensabile che dei tribunali potessero condannare governi e aziende fossili per inazione climatica, prima di quelle marce; non era pensabile che la crisi climatica diventasse un argomento ricorrente anche nelle trasmissioni televisive meno attente; non era pensabile che il 73 per cento (dati Euromedia) degli elettori potesse dichiarare che la transizione ecologica sia “molto” o “abbastanza” importante; non era nemmeno pensabile, forse, che il Green Deal diventasse un tema difficilmente aggirabile della politica comunitaria.
Alle Elezioni Europee
A vedere quei giovani marciare, nel 2019 come negli anni successivi, molti si chiedevano che cosa ne sarebbe stato di quell’energia e di quella determinazione di lì a qualche anno.
Qualcuno prevedeva che si sarebbe dispersa, i più cinici erano pronti a scommettere che, come spesso era accaduto, i singoli attivisti sarebbero stati fagocitati dalla politica, e la politica li avrebbe fatti a pezzi. Oggi possiamo dire che non è successa nessuna delle due cose.
In queste elezioni europee, per la prima volta, gli attivisti hanno popolato le liste di diversi partiti, ma invece di lasciarsi fagocitare dalla politica, hanno mantenuto le proprie istanze e le hanno integrate nei loro programmi elettorali.
Alle Elezioni Europee
La politica non li ha derubati di nulla, sono loro, semmai ad averla arricchita. Il caso di AVS, l’Alleanza Verdi-Sinistra è emblematico: nelle diverse circoscrizioni, le menti migliori della generazione che ha marciato per il clima hanno fatto incetta di voti.
Qualcuno, come Cristina Guarda, ha ottime probabilità di essere eletta al parlamento Ue, altri invece, nonostante la fiumana di voti, rischiano di rimanere fuori. È il caso di Giovanni Mori e Benedetta Scuderi, due fra i candidati più preparati e attivi per quanto riguarda le questioni climatiche; due candidati giovani, penalizzati da una posizione in lista poco vantaggiosa e dall’inevitabile attrito che deve superare chi fa campagna elettorale per la prima volta. Ma nonostante la salita ripida, hanno preso 20.000 voti a testa.
AVS ha avuto il merito di accogliere le loro candidature, e di scommettere su di loro. Ora ha la possibilità di decidere, gestendo le varie circoscrizioni, se saranno loro ad andare a Bruxelles. Senza nulla togliere a chi si sta giocando come loro l’elezione, questi sono due degni rappresentanti di una generazione che ha già cambiato il mondo. La loro marcia è arrivata fino a qui, sarebbe un peccato che le vecchie logiche politiche li fermassero a un passo dal traguardo.
Per chi volesse far sentire la propria voce, è possibile sottoscrivere una lettera di appello di invito ad AVS ad avere “il coraggio di osare” fino in fondo: qui
L’articolo è stato pubblicato originariamente sulla Newsletter Appunti di Stefano Feltri,
Per approfondire
Per saperne di più invitiamo a leggere l’articolo Salvare il mondo in università a proposito di un evento a Trento in cui è intervenuto anche il sovracitato Giovanni Mori.