Il Darfur: le origini del male
Una regione con 7 milioni di abitanti e 30 gruppi etnici diversi: questo è il Darfur, la zona più “calda” del Sudan, dove è in atto uno dei disastri umanitari più gravi che il Paese abbia mai vissuto.
di Sofia Bianchi, articolista di Agenzia di Stampa Giovanile
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Il Sudan è stato sempre teatro di molti conflitti, e tra questi la guerra in Darfur rappresenta uno tra i disastri umanitari più gravi che il paese abbia mai vissuto.
La regione del Darfur
Il Darfur è la regione più occidentale del Sudan, composta da 7 milioni di abitanti appartenenti a 30 gruppi etnici diversi, intrecciati tra loro. Questi popoli possono essere divisi (sono divisi) in due gruppi principali: arabi e africani.
Tra questi popoli vi è sempre stata una tradizionale contrapposizione: gli africani hanno un’economia agricola e stanziale, mentre le tribù arabe sono formate da pastori nomadi e di religione musulmana.
Negli anni ’80 del Novecento, la siccità spinse i nomadi del Nord verso Sud in cerca di acqua e di pascoli per i propri cammelli, sfruttando le risorse altrui. Iniziarono i primi contrasti tra le popolazioni, intensificati anche dal fatto che le comunità africane protestavano contro la politica del governo centrale, accusato di favorire le etnie arabe. Denunciavano l’“arabizzazione” della regione, cioè quel processo per cui una minoranza, spesso (che per la maggior parte era residente a Khartoum) residente a Khartoum, cercava di imporre anche con l’uso della forza a tutto il Sudan una gerarchia di valori non solo religiosi e culturali, ma anche sociali e politici.
Tali divisioni etniche furono strumentalizzate dai gruppi coinvolti nella guerra civile in corso in tutto il Sudan.
La guerra civile comincia nel 1983
Iniziata nel 1983, la guerra civile tra il Nord e il Sud aveva come protagonisti il governo centrale di Khartoum guidato dal Presidente Al Bashir, il Popular Defence Forces e i janjaweed (milizie arabe), contro i separatisti del Sud rappresentati dal Sudan People’s Liberation Movement/Army (SPLM/A).
Il Darfur divenne oggetto di interesse dello SPLM/A. Questo mirava a raggiungere il controllo delle regioni meridionali e necessitava di un supporto ideologico e militare quanto più esteso possibile da parte dei vari gruppi etnici in tutto il paese.
Il governo centrale, dal canto suo, iniziò a condurre delle operazioni militari con l’obiettivo di avere il pieno controllo della regione, attaccando le popolazioni africane più forti.
Al Bashir temeva il gruppo dei Fur, l’etnia africana più forte. Per questo, intervenne direttamente in Darfur arrestando i maggiori esponenti. Creò tre aree amministrative diverse, ognuna con un governo militare de facto, dove all’interno i Fur costituivano una minoranza. Divisi, i Fur erano più deboli.
Gli anni Novanta e l’intensificarsi del conflitto
Verso la fine degli anni ‘90, i conflitti si intensificarono. Il governo, seppur avendolo sempre negato, sembrava simpatizzare per un gruppo di miliziani arabi e arabofoni reclutati tra i membri delle tribù nomadi, denominati Janjaweed.
Il termine Janjaweed proviene dall’unione delle parole arabe Jinn (demone) e Alawid (cavallo) e indica dunque “demone a cavallo”. Tale connotazione veniva usata per marcare le modalità di incursione dei janjaweed nei villaggi africani, in particolare tra i Fur. I Janjaweed si ricordano per la loro crudeltà: distruggevano tutto, facevano terra bruciata, stupravano le donne per creare una generazione di discendenza araba.
Cominciarono a diventare via via più numerose le testimonianze dell’integrazione tra i Janjaweed e le milizie regolari. Nonostante ciò, Al-Bashir negò sempre questo legame e, alla comunità internazionale, disse sempre che non forniva armi alle milizie arabe e che non aveva autorizzato gli attacchi alla popolazione civile africana. (Sebbene iniziarono ad essere molteplici le testimonianze riguardo l’integrazione tra i Janjaweed e le milizie regolari, Al-Bashir negava tale legame.) Il governo smentiva alla comunità internazionale di fornire armi alle milizie arabe e di aver autorizzato gli attacchi alla popolazione civile africana. Appoggiando i Janjaweed il governo stava manipolando la struttura etnica delle regioni. Il risultato è stato una lotta interna mascherata da rivalità tradizionale popolare.
In Darfur comincia la guerra vera e propria
Lo scoppio effettivo della guerra in Darfur si ebbe nel 2002, quando i Janjaweed lanciarono un’offensiva vera e propria contro i Fur. Da lì a breve, questi ultimi si rivendicarono dando inizio al periodo più cruento della lotta tra arabi e africani. L’obiettivo di Al-Bashir divenne chiaro: eliminare i ribelli utilizzando le milizie dei Janjaweed, che nel frattempo erano diventate vere e proprie forze paramilitari accanto all’esercito governativo.
Tale crisi assunse una dimensione internazionale quando oltre 100.000 profughi si riversarono nel vicino Ciad, perseguitati dai Janjaweed. Il governo tentò di limitare l’intervento esterno, provocando un rallentamento del processo di soccorso, facendo della situazione in Darfur una crisi umanitaria senza precedenti. Ogni mese morivano più di 10.000 persone e il tasso di mortalità dei bambini al di sotto di 5 anni arrivava a cifre molto elevate. Di tutto questo, il governo cercava di cancellare le tracce.
La risposta della comunità internazionale
Nel 2004 iniziarono gli interventi esterni da parte dell’Unione Africana e dell’ONU seppur con difficoltà. Al Bashir osteggiava lo spiegamento delle forze di peacekeeping, spingendo per soluzioni che non avrebbero messo in discussione il rispetto della sovranità del Sudan.
Egli preferiva che le Nazioni Unite agissero accanto all’Unione Africana in termini di supporto economico, logistico e tecnico piuttosto che permettere l’accesso direttamente sul territorio nazionale.
Nel frattempo, nel 2007 un gruppo di Janjaweed vennero ammutinato sotto il comando del militare Hemeti e Al-Bashir lo pose a capo della Forza di supporto rapido (RFS) per occupare una vasta porzione di territorio nel Darfur settentrionale dove si trovano le più grandi miniere di oro, appropriandosi della principale fonte economica del Sudan. Tutto questo accadeva mentre nasceva la missione UNAMID (United Nations African Mission in Darfur). Istituita dal Consiglio di Sicurezza con il consenso sudanese, la missione UNAMID prevedeva il dispiegamento di 20.000 uomini, tutti africani, 100% Africani, come voleva Al-Bashir, con l’obiettivo di agevolare il processo di pace.
La guerra finisce, ma solo “ufficialmente”
Il 27 agosto 2009 l’UNAMID dichiarò la guerra finita. I ribelli deposero le armi in favore di un preaccordo per la risoluzione del conflitto con il governo, che venne fatto poco dopo. Tuttavia i conflitti, seppure più lievi, non cessarono e le milizie dei Janjaweed non furono smantellate e continuarono a imperversare nel paese.
La gravità della situazione ha condotto al mandato di arresto del Presidente Al-Bashir nel 2009 dalla Corte Penale Internazionale per crimini contro l’umanità e crimini di guerra, ma non è mai stato arrestato. Soltanto nel 2019 l’esercito rovesciò il potere di Al-Bashir attraverso un colpo di stato militare, Al Bashir finì in carcere per corruzione e Hemeti divenne vicepresidente del Consiglio Militare di Transizione.
Nell’ottobre 2021 il militare Abdel Fattah al Burhan, uno degli esponenti più importanti dell’esercito sudanese che aveva partecipato alla guerra in Darfur, ha guidato un altro colpo di Stato in Sudan. Ciò che è più discusso oggi è la sua vicinanza a Hemeti.