Ritornare alla meravigliosa danza della vita, intervista con Method Gundidza

“Se si accende un fuoco qui e poi un altro là, quando scoppierà un incendio si avrà un cambiamento sistemico.” Method, nativo dello Zimbabwe, lavora con passione per il recupero della coltivazione di sementi tradizionali e delle pratiche agricole popolari, riscoprendo l’importanza del sapere indigeno e dei luoghi sacri naturali. Con l’associazione Earthlore, aiuta le comunità agricole, in particolare le donne, a raggiungere la sovranità alimentare.

YPA: Cosa significa benessere per Lei?
MG: Secondo me, il benessere si raggiunge quando si è in salute, ovvero quando si vive in un ambiente sano e senza inquinamento, in un ambiente in cui acqua e aria non sono inquinate. Inoltre, bisogna avere la possibilità di interagire con elementi non umani: con gli animali, con le piante, con le montagne, con i fiumi. La mia definizione di comunità è un insieme molto più ampio che comprende altre cose oltre agli esseri umani. Oltre all’interazione con l’ambiente naturale, è fondamentale che le persone abbiamo la possibilità di interagire tra di loro tramite, ad esempio, cerimonie che celebrano la vita, attraverso il canto e la danza, ricoprendo, oltre la capacità di stabilire relazioni, il senso di collaborazione per affrontare i problemi.

YPA:Qual è la sua concezione del rapporto tra uomo e natura?
MG: La salute dell’ecosistema non può non dipendere dal benessere degli esseri umani, perché gli esseri umani sono anch’essi parte dell’ecosistema, quindi la salute dell’ecosistema implica che anche le persone siano in salute. Siccome gli esseri umani sono parte di un sistema ampio – ad esempio anche in questo momento possiamo sentire il canto degli uccelli, va da sé che la loro salute e la loro felicità dipenda dalla salute di tutto questo grande sistema. Spesso, quando siamo immersi in un ambiente naturale, sentiamo di dover attivare più sensi per sentire, toccare, vedere e odorare. Ogni parte del nostro essere viene attivato quando ci troviamo in un ambiente naturale. È in quelle occasioni che ci accorgiamo come la connessione tra gli esseri umani e l’ecosistema sia fondamentale.

YPA: Lei parla di un concetto chiamato “Jangano”. Cosa significa e come è rapportato al benessere?
MG: Noi dell’associazione Earthlore lavoriamo in Sud Africa e in Zimbabwe. Jangano è un concetto proveniente dalla cultura dello Zimbabwe. Lo stesso concetto in Sud Africa è chiamato Ilima. Si tratta della situazione in cui le persone si aggregano e lavorano insieme durante le diverse fasi del ciclo della coltivazione. Per esempio, all’aratura, alla trebbiatura, al diserbo, alla raccolta. Tutta la gente si riunisce e lavora, canta, danza, festeggia nei modi più svariati. Ciò, oltre a rendere il lavoro più leggero e interessante, aiuta le persone a legarsi le une alle altre, creando così un forte senso di comunità. Inoltre, accresce in loro anche il legame con le coltivazioni stesse e le sementi tipiche delle loro tradizioni.

YPA: Tutto questo potrebbe essere trasposto in un contesto globalizzato, all’interno della cornice del capitalismo?
MG: Quando pensiamo al concetto di Ilima e Jangano, vediamo subito come siano in contraddizione con ciò che accade attualmente nel mondo, dove proprietà, potere e controllo sono concentrati nelle mani di pochi individui. Ciò accade perché il senso di comunità viene meno. In questo modo, le persone, ragionando da singoli individui, diventano vulnerabili e perdono la capacità di fare le cose assieme, oltre alla possibilità di contare sul supporto della propria comunità, che invece è proprio il significato del concetto di Ilima e Jangano. Direi che questo concetto è l’opposto del capitalismo, perché Jangano è proprio la situazione in cui il potere è confinato al contesto locale. Questo è poi il tema di questa conferenza internazionale sul benessere: esplorare nuove strade per togliere il potere ai pochi e restituirlo alla maggioranza, impedendo che le decisioni spettino solo a chi non fa parte delle comunità, assicurando che le decisioni sulle questioni che interessano le persone siano decise collettivamente nelle comunità stesse. Queste comunità locali, una qui una là, hanno la capacità di aggregarsi in assemblee più ampie per lavorare insieme sulle questioni che riguardano localmente le comunità più ampie. Questo processo può proseguire anche fino al livello nazionale, ma senza che si perda l’essenza originaria, ovvero il fatto che il potere decisionale deve provenire dal basso.

YPA: Cosa pensa dell’agroecologia come componente del benessere? E quali modelli di proprietà si dovrebbero adottare?
MG: Agroecologia significa produrre cibo in armonia con la natura. Ad esempio, per proteggere le colture dai parassiti bisogna usare metodi naturali. Per liberare un giardino dagli afidi, invece di usare il veleno, useremo sciami di vespe. Insomma, per produrre cibo in modo agroecologico, è necessario che l’ecosistema sia diversificato, che coesistano cioè vespe, afidi, api insieme agli umani in una meravigliosa danza della vita. La proprietà, in agroecologia, è della comunità, perché l’agroecologia è proprio la comunità di esseri umani e non umani uniti nella produzione di cibo, non solo per gli uomini ma anche per tutti gli altri, le api, le vespe, gli afidi, i lombrichi, i bufali, gli animali del suolo e dell’aria. Per definizione, l’agroecologia non può essere posseduta, perché è una comunità. Il benessere avviene quando c’è interazione tra le diverse parti della natura, quando ci si diverte a vedere degli uccelli svolazzare e a sua volta anche gli uccelli, vedendoci, si chiedono “cosa stanno facendo queste persone?”. E proprio questo è ciò che chiamo benessere: questa danza della vita in cui elementi diversi si mescolano e interagiscono, ammirandosi con stupore e gioia. L’agroecologia è una buona strada per creare benessere e spazi aperti a tutti per partecipare alla danza della vita.

YPA: Come prevede sarà la transizione verso un mondo diverso? Quali forze possono veicolare il cambiamento?
MG: Una cosa da ricordare è che il potere non cede potere. Coloro che detengono il potere non lo cederanno mai e, qualora lo perdessero, farebbero di tutto per riconquistarlo. Quello che intendo, è che sarebbe sciocco pensare che le potenze mondiali conceranno il potere alle piccole comunità locali. Una scrittrice, Margaret Wheatley, spiega bene come si fa a cambiare un sistema: “se si accende un fuoco qui e poi un altro là, quando scoppierà un incendio si avrà un cambiamento sistemico.” Il cammino che intraprendiamo con le comunità con cui lavoriamo è solo in apparenza limitato a luoghi specifici come lo Zimbabwe e il Sud Africa, ma io so che ci sono tanti progetti analoghi in altre parti del mondo, come, ad esempio, quelli portati avanti da miei amici in Benin, Uganda, Kenya, Etiopia. Ora, qui a questa conferenza abbiamo assistito a testimonianze di progetti simili ai nostri che vengono svolti in Asia. Probabilmente, altre iniziative simili stanno cominciando ad emergere anche in Europa. La convergenza di tutte queste iniziative è ciò che un giorno determinerà un cambiamento sistematico, perché sono proprio questi quei fuochi di cui parlavo. Si stanno accendendo e stanno diventando incendi. Prevedo che sarà con l’espandersi di questi incendi che trasformeremo il mondo: da una prospettiva puramente capitalista, dove il potere è di pochi, a un’economia basata sul benessere della società, dove i mezzi di produzione e il potere sono in mano alla comunità.