Manifestare in Turchia (storie di studenti d’oggi)

Il 22 marzo 2018 dodici studenti dell’università Bogazici di Istanbul sono stati prelevati dalle loro residenze e arrestati dalla polizia. Per ventiquattrore non gli è stato consentito di incontrare un avvocato.Sette di loro sono stati rilasciati il giorno seguente. Cinque si trovano tuttora nel carcere di Bakirkoy, in attesa. Nulla si sa riguardo alla loro scarcerazione. L’accusa è di aver attaccato un banchetto studentesco che stava distribuendo dolci tradizionali turchi in onore di quarantasei soldati morti in Siria durante i combattimenti per conquistare Afrin. “Invasione e massacro non possono essere celebrati con dei dolci”, questa è la frase scritta sullo striscione srotolato di fronte al banchetto. Questo è “l’attacco”, il reato per cui sono stati incriminati i dodici studenti.
Come si è arrivati a questo?La Turchia è in subbuglio: la pressione politica esercitata dal capo di stato Erdogan, la militarizzazione dei territori e il costante clima di propaganda alimentano un forte e crescente nazionalismo. Il recente successo dell’operazione Ramoscello d’Ulivo, condotta contro il cantone di Afrin, nella regione autonoma del Rojava, ha suscitato un’ondata di consenso popolare.Le Unità di Protezione Popolare (YPG e YPJ), attive nella regione a maggioranza curda situata a Nord della Siria, controllavano la città dal 2012. Durante i bombardamenti e gli scontri sono morte decine di civili, moltissimi sono stati i feriti, centinaia di migliaia di profughi costretti ad abbandonare la città in fiamme, in fuga verso Damasco.
Il risultato militare e la presa della città, tuttavia, più che come un catastrofico disastro umanitario, sono state viste dalla popolazione turca come un trionfo ottenuto su quelli che, dall’opinione pubblica, vengono considerati terroristi curdi affiliati al Pkk. A oggi, il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) è effettivamente riconosciuto organizzazione terroristica da Turchia, Stati Uniti, Iran, NATO e Unione europea, anche se i punti di vista che circolano riguardo a esso sono diversi e contraddittori.
L’entusiasmo nelle città per la “presa di Afrin”, anche a livello studentesco, è stato grande, e in diverse parti del paese gruppi di studenti hanno espresso la loro totale approvazione per le politiche militari di Recep Tayyip Erdogan. Nelle università, in particolare, si sono diffuse una serie di iniziative per celebrare i caduti militari turchi in territorio siriano.
Ed ecco che il 19 marzo, nel Campus Nord dell’università Bogazici, un gruppo di studenti contrari alla guerra ha manifestato di fronte a un presidio studentesco intento a distribuire dolci tradizionali turchi, dal forte valore simbolico, per onorare la morte dei soldati dell’esercito regolare turco uccisi durante l’operazione Ramoscello d’Ulivo. La protesta si è conclusa con uno scontro tra i due gruppi e apparentemente il banchetto sarebbe stato attaccato. Il 20 marzo la sezione giovanile del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) ha denunciato alla polizia l’incursione contro il presidio. “Terroristi”: così vengono descritti nel comunicato stampa ufficiale i ragazzi e le ragazze contrari alla guerra condotta in territorio siriano. Anche il rettorato dell’università di Bogazici ha preso provvedimenti a riguardo, dichiarandosi lontano dagli studenti coinvolti. Lo YOK, il Consiglio per l’Educazione Superiore, ha invece sottolineato l’urgenza di prendere precauzioni e diintrodurre modifiche nei regolamenti disciplinari.
Due giorni dopo questi fatti, gli studenti coinvolti nella contestazione sono stati fermati nelle loro case o nei rispettivi studentati e portati in carcere. Cinque di essi sono ancora lì, a Bakirkoy, a quasi un mese di distanza dall’incarcerazione. Sono in attesa di giudizio in un paese in cui l’ordinamento legislativo è soggetto allo stato d’emergenza, piegato al mantenimento dello stato di cose vigente e funzionale agli interessi della forte classe dirigente.
I ragazzi e le ragazze dell’università di Bogazici hanno manifestato mossi dallo sdegno per l’operazione portata avanti contro Afrin: un massacro. Si parla di guerra, macerie, morti, rabbia. Al di là degli articoli di cronaca, dei giochi di politica internazionale e delle parti, sul confine la tragedia colpisce i popoli. La presa della città di Afrin, avvenuta in modo così arbitrario, è una vergogna sia per chi la guarda da spettatore sia per chi non la guarda proprio. Bisogna prendere atto della complessità del fenomeno, alimentato dalla logica dell’armamento come prova di forza, della violenza più efferata, della disperazione e dell’odio sedimentato nelle pance, dove non c’è spazio per opinioni superficiali e parziali, formatesi sui divani dell’Occidente pacificato. Qui a Ovest di Afrin si è parlato, ma non abbastanza.L’arresto degli studenti a Istanbul, invece, non necessita di particolare consapevolezza del fenomeno o di grandi prese di coscienza. Deve smuovere all’istante le menti, servono reazioni istintive. C’è bisogno di sdegno. Finire in carcere a vent’anni per aver manifestato pacificamente non è giusto. Essere arrestati per aver detto che non si può celebrare un massacro con dei dolci tipici è inammissibile.
Questa è la quotidianità in Turchia, e il caso dell’Università di Bogazici non è isolato.
Altri studenti sono stati arrestati, altri ancora lo saranno.
Il silenzio non ci fa onore.