Siamo l’esercito dei selfie!

Può essere chiamata “sindrome di selfie” quella che sempre più si sta diffondendo nella società moderna, coinvolgendo non solo ragazzi e adolescenti, ma anche le vecchie generazioni. È parte ormai del costume del terzo millennio la necessità di sentirsi al passo con i tempi per non essere tagliato fuori da questa nuova forma di comunicazione. È impressionante come un like o un follower in più facciano la differenza sul benessere emotivo di un individuo. Da pochi anni, infatti, con la nascita dei social network (Facebook, Instagram, Snapchat, Twitter, YouTube…) la necessità di mostrarsi al mondo sia diventata una priorità.

Timidezza e pudore vengono mascherati dietro questa voglia di apparire e di piacere. Persone che nella vita sarebbero appartate, introverse, ma soprattutto anonime, hanno l’opportunità di manifestare l’indole più nascosta, mascherando così le proprie insicurezze. A disposizione dei più estroversi, gli ideatori di software hanno trovato la soluzione ideale incorporando delle funzionalità aggiuntive che permettono di rendere pubblico quello che si sta facendo in tempo reale: le cosiddette “storie” che durano ventiquattro ore. Si cattura in questo modo un momento della propria intimità che diventa di dominio pubblico.

L’introduzione di social network ha significato la genesi di nuove figure lavorative che vivono grazie al web: gli youtuber e gli influencer. Le loro attività quotidiane si basano essenzialmente sulla pubblicazione di foto e video sottoposti ad un attento lavoro di post-produzione e di editing. In questo settore originalità e  capacità di attirare l’attenzione sono sinonimi di successo. Conciò sembra che sia sempre più dato ampio spazio a “chiunque” faccia notizia, senza avere talenti rari e autentici come accadeva fino a pochi anni fa.

Avreste mai pensato di vedere papa Ratzinger o papa Francesco immortalati in un selfie? In un certo senso anche l’austerità della Chiesa si sta allentando verso questa nuova forma di comunicazione. Chi l’avrebbe mai detto che anche il mondo ecclesiastico sarebbe stato sopraffatto dagli effetti dei social network!

Il cellulare ormai è una parte integrante della nostra quotidianità: è impossibile stare un momento senza connessione Internet e non concedersi i cinque minuti passati sui social. Questa attitudine è detta nomofobia ed è testimoniata dal fatto che l’ultima cosa fatta prima di andare a dormire è dare l’ultima sbirciatina ai nuovi post pubblicati.