Accordo sul Clima: Avanti ma lentamente

Cala il sipario sulla Conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (nota anche come COP 23), tenutasi a Bonn dal 6 al 17 Novembre sotto la Presidenza delle isole Fiji. Da questo appuntamento non erano attesi risultati puntuali, ma un progresso sostanziale sulle linee guida che renderanno operativo l’Accordo di Parigi post 2020 e che dovranno essere approvate entro il 2018. Un compito non banale, visto che il cosiddetto “Rulebook” avrà il compito di definire come gli sforzi di ciascuno stato in termini di mitigazione, adattamento e supporto (fornito o ottenuto) saranno riportati e riesaminati.
In linea generale, questa COP “di transizione” non ha deluso le aspettative. Da più parti è stata espressa soddisfazione per il lavoro negoziale svolto, che ha permesso di portare le linee guida da un livello concettuale ad uno più tecnico. È stato inoltre approvato un approccio al “Dialogo Facilitativo” che si terrà l’anno prossimo per rivedere al rialzo l’ambizione dei piani di azione climatica presentati dagli Stati per raggiungere gli obiettivi di Parigi. L’approccio si rifà al concetto figiano di Talanoa, che richiama l’importanza del condividere delle storie, costruire empatia e prendere decisioni sagge per il bene comune con base in un dialogo partecipativo e inclusivo. La presidenza Fijiana ha proposto che il “Dialogo Talanoa” incorporasse anche considerazioni sull’ambizione delle azioni pre-2020, particolarmente importanti per i paesi più vulnerabili visto la mancata entrata in vigore del secondo periodo di impegno del Protocollo di Kyoto. Uno dei maggiori punti di discussione si è incentrato su come bilanciare questa proposta con la necessità di non perdere il focus rispetto al periodo post-2020 in cui l’accordo di Parigi verrà implementato.
Il punto più controverso dei negoziati ha riguardato, prevedibilmente, le questioni finanziarie, ed in particolare l’articolo 9.5 dell’Accordo che prevede una comunicazione biennale da parte dei paesi industrializzati rispetto al supporto finanziario destinato ai paesi in via di sviluppo per azioni di mitigazione e adattamento. Le discussioni si sono concentrate soprattutto sulle modalità in cui gli impegni di finanza pubblica dei paesi industrializzati verranno determinate nel lungo periodo.
Al di là dei necessari passi perché divenga operativo l’Accordo di Parigi, la COP23 si è caratterizzata per una forte attenzione verso i paesi più vulnerabili e questo, considerando che Fiji è tra le aree del pianeta più esposte agli impatti dei cambiamenti climatici, non solo non sorprende ma appare doveroso. Iniziative lanciate alla COP come il Partenariato Globale “InsuResilence” mirano proprio a rafforzare la capacità dei più poveri di accedere a forme assicurative che permettano loro di far fronte agli impatti di eventi estremi come cicloni e alluvioni. L’obiettivo è quello di raggiungere 400 milioni di persone entro il 2020 attraverso una partnership tra i paesi del G20 e le 49 nazioni più vulnerabili.
E la società civile? Quella di quest’anno è stata una COP diversa dalle altre. Per la prima volta nella storia e a causa di questioni logistiche, lo spazio dedicato alle organizzazioni non governative (i cosiddetti osservatori) è stato separato da quello negoziale. Questo ha reso difficile l’interazione tra i due mondi, ma in un certo senso è riuscito ad enfatizzare la vivacità e la voglia di fare che caratterizza gli attori non statali rispetto alla lentezza dei negoziati tra Stati. Una determinazione che è stata espressa, in particolare, dalla società civile e dagli enti sub-nazionali statunitensi a dispetto della volontà del presidente Trump di uscire dall’Accordo di Parigi. L’esempio più emblematico è probabilmente la U.S. Climate Alliance, una coalizione bipartisan formatasi nel giugno del 2017 e composta da quindici governatori degli Stati Uniti che si sono impegnati a rispettare gli obiettivi di riduzione delle emissioni cui gli Stati Uniti si sono impegnati a Parigi.
Il cammino è tuttavia ancora lungo. E’ emersa chiara la consapevolezza che gli impegni di riduzione delle emissioni di gas serra non sono affatto sufficienti a garantire di mantenere il riscaldamento globale entro i 2°C e il rischio di superare tale soglia mantiene preoccupato il mondo scientifico. Entro il 2020 tali impegni dovranno essere infatti rivisti per essere decisamente più ambiziosi. Il tempo a disposizione è davvero poco e se questa COP ha dato segnali incoraggianti occorre comunque agire in fretta e i prossimi anni saranno decisivi.