L’assistente curatrice/curatore: chi è e cosa fa in un museo

Continuiamo l’approfondimento legato alle professioni museali, incontrando chi assiste la figura del curatore e della curatrice delle mostre.

di Davide Berteotti

Probabilmente molte e molti di voi conoscono la figura del curatore o della curatrice di una mostra, ovvero chi sceglie le opere da esporre in base a un progetto che ha in mente per quella mostra.

Ma quante/i di voi sanno esattamente di cosa si occupano invece i/le loro assistenti? Capiamolo con Ilaria Cimonetti, Valentina Russo e Giosuè Ceresato che lavorano al Mart – Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto.

Parliamo un po’ di voi: da quanto lavorate qui al Mart?

Ilaria: Io sono arrivata al Mart undici anni fa; ho cominciato con un tirocinio post lauream di 6 mesi, nel gennaio del 2013, subito dopo la mia laurea magistrale in Storia dell’Arte. Lavoravo nell’ufficio mostre, a stretto contatto con le curatrici e con i colleghi dell’ufficio registrar. Terminato lo stage, mi è stato proposto un contratto di collaborazione e nel 2016 sono entrata stabilmente nello staff del museo, dopo un concorso pubblico. In realtà, quando ho cominciato, il ruolo dell’assistente curatore non esisteva ufficialmente nell’organigramma del Mart, ma le mansioni che mi sono state affidate fin da subito andavano in questa direzione e finalmente nel 2016 è stato assegnato un nome a quello che facevo già da un po’!

Valentina: io sono una storica dell’arte contemporanea con un dottorato in Storia e Conservazione dell’oggetto d’arte e d’architettura all’Università di Roma Tre. Ho iniziato a collaborare con il Mart nel 2014 come ricercatrice per un progetto digitale di valorizzazione dell’Archivio di Nuova Scrittura, la collezione che Paolo Della Grazia ha prima depositato e poi donato al Mart e a Museion (Bz). Il progetto è durato due anni ed è ancora oggi fruibile tramite il portale www.verbovisualevirtuale.org. Come Ilaria, sono poi entrata nello staff del Mart dopo il concorso del 2016: per alcuni anni sono stata la referente per l’area web e progetti digitali del museo, per passare poi al ruolo di assistente curatrice nell’Ufficio mostre.

Giosuè: la prima volta che ho messo piede negli uffici del Mart è stato nell’autunno del 2018, come stagista nell’ambito editoria; durante questa esperienza ho affiancato gli assistenti curatori nella revisione dei testi, ho partecipato alle riunioni con il grafico e sono andato in tipografia per seguire la stampa di un catalogo. All’epoca ero specializzando in Beni storico-artistici all’Università di Udine. Poi, nel 2019, dopo sei mesi di ricerca per la tesi nell’Archivio del ’900 del museo, ho cominciato un progetto di Servizio Civile nella biblioteca del Mart. Terminata questa esperienza ho poi continuato il lavoro in biblioteca come collaboratore e, in parallelo, ho coordinato il progetto Connections manent, con il quale abbiamo portato avanti i lavori sul portale di cui parlava Valentina. L’anno scorso ho superato un concorso provinciale e da gennaio di quest’anno sono entrato nello staff dell’ufficio mostre come assistente curatore.

…E subito ti sei dovuto occupare della mostra Felice Tosalli. Animali di un altro sogno.

G. Eh sì, ho preso subito consapevolezza di cosa significa affiancare i curatori, soprattutto per quanto riguarda l’utilizzo del software gestionale e la richiesta dei prestiti delle opere ai vari collezionisti, gallerie e musei. Fortunatamente però non ci sono stati grandi problemi, fatta eccezione per un collezionista che ci ha comunicato pochi giorni prima dell’inizio dell’allestimento che non poteva concederci il prestito: abbiamo quindi semplicemente riorganizzato leggermente la disposizione delle altre opere. La mostra espone diversi tipi di oggetti, alcuni anche molto delicati: disegni, acquerelli, piccole sculture in legno e ceramiche; per ognuno è previsto un modo corretto di esporlo, che ne garantisce la massima sicurezza.

Giosuè Ceresato

Volete un fun fact? Grazie alla mostra ho scoperto specie esotiche di animali di cui prima non sapevo nemmeno l’esistenza: lo zibetto, il maki vari, la nasua rossa, la viverra genetta… [ride, ndr]. Ora saprei riconoscere un’anatra pinguino al primo colpo d’occhio!

E voi, Ilaria e Valentina? Se ripensate alla vostra prima esperienza, cosa vi è rimasto in mente?

I. Ricordo ancora molto bene, e con grande riconoscenza, la mia prima esperienza come assistente curatrice (pur non potendo ancora definirmi tale all’epoca!). Negli ultimi mesi del mio tirocinio avevo cominciato a seguire con Nicoletta Boschiero, all’epoca capo-curatrice, il grande progetto della mostra La guerra che verrà non è la prima, che avrebbe aperto nell’autunno del 2014, in occasione del centenario della Grande Guerra. Era un progetto complesso, che coinvolgeva numerose istituzioni e che si sarebbe concretizzato con una mostra che avrebbe occupato l’intero secondo piano del Mart. C’era bisogno di una figura che si occupasse del coordinamento organizzativo di tutto il progetto ed è stato quello che mi è stato proposto. Devo dire che è stata una palestra straordinaria: mi sono da subito confrontata con tutti i partner esterni, italiani e stranieri, e vista la grandissima quantità di opere richieste in prestito, ho avuto modo di incontrare da subito le più disparate casistiche. Anche il lavoro sul catalogo, sull’allestimento, sulle didascalie è stato complesso ma al tempo stesso davvero stimolante.

V. Anche il progetto di valorizzazione digitale dell’Archivio di Nuova Scrittura è stato voluto fortemente e promosso nel tempo da Nicoletta Boschiero, ed è stata per me un’occasione eccezionale per dare forma concreta a un sogno. Non solo quello di lavorare per una delle più importanti istituzioni culturali italiane, ma anche quello di mettere in campo le mie competenze di Digital Humanities, che dieci anni fa erano – e certamente lo sono ancora – un ambito lavorativo all’avanguardia. Ad essere del tutto sincera, mi sembrava un miracolo poter prendere parte a qualcosa di così innovativo! 

I registrar ci hanno spiegato il funzionamento dei prestiti in entrata, raccontando delle assicurazioni, dei trasporti, dell’allestimento, ma hanno detto che innanzitutto la fase delle richieste di prestito è in capo all’ufficio mostre: come funziona esattamente? 

I. In realtà la richiesta di prestito è la prima fase veramente operativa, ma noi cominciamo a lavorare su una mostra in un momento precedente. Soprattutto quando le mostre vengono ideate e curate dai colleghi curatori interni al museo, ci confrontiamo con loro sulla definizione del progetto e sulla preparazione delle prime liste opere, che tengono conto di tanti fattori: naturalmente il progetto scientifico e quindi la scelta di opere che possano raccontare al meglio ciò che il curatore o la curatrice ha in testa; ma pensiamo già anche a questioni più pratiche, come la fattibilità dei prestiti: sappiamo dove sono le opere? Siamo in tempo per chiedere l’opera al tal museo? Il nostro budget ci permetterà di sostenere i costi di un eventuale prestito internazionale? Queste sono solo alcune delle domande che ci poniamo prima di far partire le lettere di prestito. Si arriva poi a prendere contatto direttamente con i prestatori, e per me questo è uno degli aspetti più stimolanti. Ho avuto modo di conoscere colleghi di musei italiani e stranieri, di piccoli musei di provincia e di importantissime realtà internazionali, collezionisti e appassionati d’arte, ed entrare in contatto con le modalità di lavoro di tante istituzioni diverse è forse la cosa che mi ha arricchito di più da un punto di vista professionale. 

V. La campagna di prestito è un processo piuttosto lungo, in cui verifichiamo, oltre alle disponibilità delle opere, le condizioni per la loro esposizione: per esempio interventi conservativi e di restauro, incorniciatura, sistemi di appensione, realizzazione di teche, vetrine, climabox [una teca sigillata e microclimatizzata costruita su misura dell’opera, ndr]. Questa fase è estremamente interessante ma è anche molto delicata: tutte queste verifiche devono essere vagliate con cura e discusse con i colleghi che lavorano in altri settori del museo (ad esempio l’Ufficio tecnico) così che tutto il necessario venga predisposto in anticipo rispetto al momento dell’allestimento. Fa parte di questa fase anche la verifica della disponibilità di immagini ad alta risoluzione delle opere concesse in prestito, che serviranno per la pubblicazione del catalogo, di cui ci occupiamo insieme ai curatori e al responsabile dei progetti editoriali del Mart, Lodovico Schiera. 

G. Esatto, e non solo occorre avere le riproduzioni delle opere in alta definizione, ma serve anche l’autorizzazione da parte di chi le possiede. Il nostro ruolo prevede anche l’assistenza degli autori che si occupano della redazione dei testi, dall’invio della lettera d’incarico, alla comunicazione delle norme editoriali, fino all’editing finale dei saggi e delle schede delle opere in catalogo. Poi, sotto la guida dei curatori, componiamo il menabò con la sequenza delle immagini [si tratta di una bozza di impaginazione del catalogo, calcolando lo spazio per i testi e per le immagini, ndr]. L’ultima fase di lavoro per i cataloghi è la revisione delle bozze di stampa, naturalmente passando il materiale ai vari autori e recependo anche le loro osservazioni. È una grande soddisfazione, dopo la stampa, poter tenere in mano il volume cartaceo, dopo averlo sfogliato più e più volte, in formato digitale, sullo schermo del computer. A questo punto, quindi, possiamo organizzarci per l’invio della copia omaggio ai vari prestatori. Il lavoro di editing e revisione va poi fatto, naturalmente, anche su tutti i testi presenti nelle sale della mostra.

Quali sono secondo voi i pro e i contro del vostro lavoro?

I. Come dicevo prima, la parte più bella del mio lavoro è appunto entrare in contatto con i miei omologhi, e quindi con il “dietro le quinte” di tantissime realtà diverse. Ma anche con le altre figure che collaborano alla realizzazione del progetto: curatori esterni, contributori del catalogo, architetti. Nel corso degli anni, con alcune di queste istituzioni e con alcuni colleghi si sono creati ottimi rapporti, sia umani che professionali. Non saprei trovare dei veri e propri “contro”: certo, non mi piace scontrarmi con le tortuosità burocratiche che stanno dietro ad alcune procedure (e credetemi, sono tante! Soprattutto quando parliamo di opere pubbliche sottoposte a tutela dal Ministero [della cultura, ndr]…), ma in fondo riuscire a risolvere anche le situazioni più delicate dà una bella soddisfazione!

V. Concordo con Ilaria! Cosa posso aggiungere? Più che un “contro”, direi che è una sfida lavorare con cura e attenzione a più progetti contemporaneamente: questo avviene, naturalmente, perché ogni mostra ha i suoi tempi di realizzazione e in alcuni casi è necessario muoversi con largo anticipo [succede quindi che magari ci si debba occupare parallelamente di una mostra complessa che apre più tardi rispetto a una magari più “semplice” che apre prima, ndr]. Più che un “pro”, direi che è una sorpresa vedere l’opera finalmente in sede dopo averla seguita – e in alcuni casi inseguita! – per tanto tempo a distanza. Non vorrei sembrare retorica, ma per me è sempre un’emozione. 

G. Assolutamente, sono d’accordo con Ilaria e Valentina. Per la mostra Surrealismi – Da de Chirico a Gaetano Pesce, che aprirà a luglio, sto lavorando con Denis Isaia [il curatore, ndr] sulla disposizione delle opere nelle varie sale. È davvero stimolante lavorare alla progettazione di un ambiente, immaginando una narrazione che verrà poi letta dai visitatori, che potranno cogliere i vari nessi stilistici e tematici tra i quadri che verranno esposti. Se c’è un “contro” in questo lavoro – non coinvolge solo noi, ma anche i colleghi degli altri uffici – è che ad un certo punto la mostra va disallestita e non sarà più possibile a nessuno vivere l’esperienza che abbiamo progettato: guardare le foto o i video dell’allestimento, oppure sfogliare il catalogo non è la stessa cosa… D’altronde bisogna riconoscere che fa parte del gioco… Sicuramente ognuno di noi ha una lista di importanti mostre che avrebbe voluto visitare, e non solo di quelle che per chissà quale motivo ci siamo persi, ma anche di quelle che si sono chiuse prima che venissimo alla luce.

Che poesia! Ma quali sono quindi secondo voi le qualità di un(‘) assistente curatore?

I. Secondo me le due qualità fondamentali sono capacità organizzativa e propensione al lavoro di squadra. Le varie fasi di organizzazione di una mostra infatti si sovrappongono e bisogna essere in grado di tenere tutto assieme: si gestiscono i prestiti e contemporaneamente si raccolgono e redazionano i materiali per il catalogo, si recuperano le immagini in alta risoluzione e contemporaneamente si lavora con l’architetto per la definizione dell’allestimento; si condividono contenuti e liste opere con l’area educazione [che lavora alle audioguide e ai percorsi di visita guidata, ndr] e con l’ufficio stampa e contemporaneamente si preparano le didascalie per le opere. In tutti questi momenti siamo chiamati a lavorare a stretto contatto e in continuo scambio con tutti gli altri uffici del museo.

V. Sì. Aggiungo che, oltre alla capacità organizzativa, l’attitudine che secondo me non può mancare è l’attenzione al dettaglio. L’attenzione verso il prestatore, nella verifica delle informazioni che riguardano l’opera… e soprattutto attenzione al refuso! 

Valentina Russo

G. Anche secondo me! La precisione, il non perdere di vista le varie fasi del lavoro, prestare attenzione alle singole necessità che di volta in volta emergono… Non deve mancare naturalmente, nel nostro ambito, una buona conoscenza dell’arte del XIX, XX e XXI secolo nel contesto italiano e internazionale; con la consapevolezza che non si può sapere tutto in modo approfondito, ma che ogni nuova mostra è anche l’occasione per aggiornare le proprie conoscenze, approfittando degli specialisti che vengono coinvolti nei vari progetti. Non deve poi mancare anche un minimo di spirito pratico: spesso i problemi che dobbiamo affrontare non riguardano questioni astratte, ma situazioni molto concrete.

A fronte di tutto questo lavoro, spesso però il nome dell’assistente curatore non compare nella mostra: com’è il vostro rapporto con questa sorta di “anonimato”?

I. Credo che il nostro apporto alla costruzione di una mostra valga tanto quanto quello dei nostri colleghi degli altri uffici. Se ci fosse il mio nome dovrebbe ugualmente esserci quello del registrar, del responsabile dell’allestimento, di chi si è occupato del catalogo, dell’ufficio stampa, ecc, ecc. Per i curatori è diverso: oltre al giusto riconoscimento del lavoro, firmare un progetto significa anche assumersene la responsabilità scientifica. Ma per tutto il resto la mostra è un grande lavoro di squadra

V. Facciamo il nostro lavoro per un’istituzione pubblica e in questo senso credo sia normale che i nostri nomi non debbano necessariamente apparire. Concordo con Ilaria che per la curatela il discorso sia diverso. Inoltre le curatrici e i curatori con cui ho lavorato fino ad oggi hanno sempre dimostrato una grande attenzione verso il nostro ruolo, spesso esternandola con generosità in occasioni pubbliche.

G. Lavorare per un’istituzione pubblica in ambito culturale, di per sé, è già un privilegio, perché permette di curare un patrimonio che è a disposizione della collettività. Certamente, ognuno lo fa consapevolmente in base al proprio ruolo, e il risultato finale non è mai merito di una sola persona. Più che il nome nel colophon della mostra, per me è già molto gratificante lavorare per un importante museo, come sognavo quando studiavo all’università.

Ultima domanda: cosa direste quindi a un/a giovane che vorrebbe fare l’assistente curatore?

I. Non so se ci sia davvero qualcuno che vuole fare l’assistente curatore, senza prima averlo provato! Solitamente si sogna di fare il curatore o la curatrice, oppure si rimane affascinati dal ruolo del registrar, in contatto così diretto con le opere. Io stessa, da studente, non ho mai pensato “da grande voglio fare l’assistente curatrice”. Ma ora lo posso dire. L’assistente curatore non è solo la gavetta per diventare curatore. È una professione con delle specificità stimolanti, che permette di rimanere strettamente coinvolti nelle questioni scientifiche e di occuparsi al contempo di aspetti più operativi e organizzativi.

Ilaria Cimonetti

V. Io direi che è un lavoro bellissimo per persone dinamiche! Ha ragione Ilaria a definirla una professione specifica e non solo uno step nel proprio percorso professionale: penso che partire da questo presupposto renda questo ruolo ancora più desiderabile. 

G. Se una persona in giovane età sogna di fare l’assistente curatore significa che si è già avvicinata al mondo dei musei e delle esposizioni temporanee – con uno stage o un altro tipo di esperienza – tanto da poter osservare da vicino il “dietro le quinte”. Il mio consiglio, quindi, potrebbe essere quello di continuare su questa strada, sperimentando questo lavoro in prima persona. L’altra cosa che mi sentirei di dire è che un lavoro adatto a chi, viste le numerose cose da tenere a mente, non ama per nulla annoiarsi!