Spreco alimentare: 6,5 miliardi di euro nella spazzatura di casa

Uno spreco alimentare domestico vale 6,5 miliardi di euro l’anno e rappresenta 2,2 milioni di tonnellate di cibo. Come combatterlo?

Di Margherita Mescolotto, nucleo di Bolzano dell’Agenzia di Stampa Giovanile

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Uno spreco alimentare domestico che vale 6,5 miliardi di euro l’anno, 2,2 milioni di tonnellate di cibo. Una “voragine” fra le mura di casa, così viene denominato il brutto vizio radicato in tutti gli italiani. Come combatterlo? La chiave di volta siamo noi, le nostre abitudini. Solo nel momento in cui avremo maggiore consapevolezza del valore del cibo, riusciremo a cambiare i nostri comportamenti.

I dati sono stati presentati da Waste Watcher, il primo osservatorio sugli sprechi, in occasione della settima Giornata nazionale contro lo spreco alimentare, il 5 febbraio scorso. Registrano un miglioramento del 25% rispetto al 2019, ma, come dichiara Andrea Segrè, il fondatore di Waste Watcher, “occorre fare di più”. Il cibo che gettiamo nelle nostre pattumiere rappresenta quasi i 4/5 dello spreco alimentare totale (che include la filiera produzione/distribuzione) e non esistono giustificazioni.

Infiniti “omicidi” di alimenti, perché scaduti, ammuffiti, cucinati o acquistati in eccedenza. Come salvare la loro vita? È necessario svegliare le coscienze e lanciare una svolta culturale, che vada ad incidere sulla nostra quotidianità.

Sono molte le soluzioni per abbattere lo spreco alimentare domestico: fare una spesa intelligente, riordinare il frigo secondo le date di scadenza e congelare gli alimenti. E non solo. Perché non avventurarsi nel mondo delle ricette svuota-frigo, con gli avanzi e gli scarti dei pasti, facendoci ispirare da applicazioni come UBO, “Una Buona Opportunità”?

Segrè suggerisce: “mangiare è un atto di giustizia e civismo”. In quanto cittadini abbiamo una grande responsabilità, le nostre scelte e i nostri comportamenti hanno un impatto significativo sull’economia, sull’ambiente, sulla salute, su tutti noi. Evitare lo spreco non è solo un “io posso”, ma un “io devo”.