Il crollo di un seracco del ghiacciaio della Marmolada domenica 3 luglio nella foto del Soccorso Alpino Trentino

Marmolada, il fragile sistema dei ghiacciai

La tragedia della Marmolada di domenica 3 luglio ha riportato al centro del dibattito pubblico il cambiamento climatico. Il caldo anomalo di questi mesi, infatti, ha giocato un ruolo fondamentale nel crollo di una porzione del ghiacciaio della Marmolada che, pur in arretramento, non presentava particolari criticità o segnali che potessero allarmare. L’analisi del climatologo Roberto Barbiero.

di Roberto Barbiero, fisico e climatologo. Coordinatore del Forum Trentino sui Cambiamenti Climatici

Undici vittime e sette feriti ricoverati in vari ospedali: è questo il drammatico bilancio della tragedia che nella calda domenica del 3 luglio ha colpito alcune cordate di alpinisti investiti dall’improvvisa colata di fango e ghiaccio provocata dal crollo di una porzione del ghiacciaio della Marmolada sul lato Trentino. Si è trattato di uno dei più gravi incidenti osservati nelle Alpi le cui dinamiche esatte saranno definite solo a seguito delle necessarie valutazioni tecniche ma dove senza dubbio il caldo anomalo ha giocato un ruolo fondamentale rimettendo prepotentemente al centro dell’attenzione il tema del riscaldamento globale e dei cambiamenti climatici.

Fenomeni di distacco di porzioni di ghiacciaio sono noti nelle Alpi e ci sono alcuni ghiacciai, ad esempio in Valle d’Aosta e in Svizzera, che sono monitorati costantemente perché a maggior rischio di crollo a causa della loro particolare grandezza e pendenza nonché perché posizionati in zone esposte per la presenza di centri abitati e infrastrutture.

Il ghiacciaio della Marmolada, pur in arretramento, tuttavia non presentava particolari criticità o segnali che potessero mettere in allarme ed è parere condiviso tra gli esperti che si fosse trattato di un evento pertanto non prevedibile in queste dimensioni.

Il caldo davvero anomalo ha probabilmente determinato la formazione di un’enorme quantità di acqua che si è infiltrata nei crepacci, favorendo un effetto di lubrificazione e creando poi una pressione sul fondo del ghiacciaio che ha determinato lo scollamento dalla roccia e quando poi si è superata la capacità di resistenza del ghiaccio si è verificato il crollo che purtroppo è avvenuto in un orario che vedeva escursionisti impegnati a transitare sul ghiacciaio.

La situazione dei ghiacciai è stata messa a dura prova in questi mesi dopo un lungo periodo di temperature superiori alla media e con scarsità di precipitazioni. Sono risultati infatti più caldi della media sia l’inverno che la primavera, con un maggio tra i più caldi mai osservati, per arrivare ad un mese di giugno risultato anch’esso particolarmente caldo e con temperature in Trentino superiori alla media del trentennio 1991-2020 di ben 2,0°C (“Analisi meteo giugno 2022”, a cura di Meteotrentino).

La giornata di domenica 3 luglio è risultata la più calda di questo lungo periodo di anomalie termiche, toccando ad esempio la temperatura di 36.8°C nella stazione di Trento Roncafort in Val d’Adige, mentre a Sas del Mul (Marmolada) a quota 2606 m sono stati misurati ben 16,8°C di temperatura massima.

A causa della scarsità di precipitazioni invernali e primaverili e delle temperature superiori alla medie che hanno contraddistinto le due stagioni, al termine della stagione di accumulo delle nevicate (fine maggio) i ghiacciai del Trentino monitorati (Marmolada, La Mare e Careser) presentavano un innevamento piuttosto scarso, già fortemente intaccato dalla fusione, situazione generalizzabile a tutti i ghiacciai trentini e alpini (“Campagna di misure di accumulo sui ghiacciai trentini, report 2022”, a cura di Meteotrentino).

Con un anticipo di almeno un mese si nota a fine maggio la scopertura di alcune fronti glaciali, come ad esempio quella del ghiacciaio della Marmolada con anomalie comprese tra -40% e -50% rispetto a condizioni normali.

Il caldo anomalo di giugno e di inizio luglio ha favorito pertanto la continua e progressiva fusione dei ghiacciai.
L’evento della Marmolada ha messo in evidenza la fragilità della montagna e rimesso al centro dell’attenzione il tema dei cambiamenti climatici dato che la regressione della copertura glaciale alpina rappresenta probabilmente il segnale più marcato degli impatti del riscaldamento in atto.

I ghiacciai alpini si sono ridotti mediamente della metà rispetto al più recente momento di massima espansione, avvenuto nella Piccola Età Glaciale (PEG, metà 1800). A sud delle Alpi tuttavia la perdita è stata maggiore. Ad esempio l’estensione complessiva dei ghiacciai trentini nel 2015 si è attestata attorno ai 32 km2, corrispondenti al 28% dei circa 123 km2 stimati a metà 1800 (“Rapporto sullo stato dell’ambiente 2020”, APPA su dati di Meteotrentino).

Il tasso di riduzione sta accelerando e ad oggi si stima che la superficie dei ghiacciai sia ridotta a circa un quarto dell’ultima massima espansione raggiunta. La quota della fronte dei ghiacciai, mediamente localizzata nel massimo della PEG attorno ai 2.550 m di quota, si è innalzata fino a circa 2.800 m, superando i 3100 metri di quota per i ghiacciai esposti a sud-est del Trentino.

Questo intenso processo di ritiro ha comportato la frammentazione dei ghiacciai, che sono aumentati di numero divenendo sempre più piccoli e, quindi, più soggetti a fusione. Questi imponenti processi di ablazione (perdita di neve e ghiaccio in acqua equivalente) manifestatasi negli ultimi decenni sono confermati anche dalle misurazioni delle variazioni frontali dei ghiacciai e dai loro bilanci di massa. Ad esempio la serie storica dei bilanci di massa eseguiti per il ghiacciaio del Careser dal 1967 ad oggi evidenzia la sua continua regressione nonostante alcuni parziali rallentamenti dovuti ad inverni con precipitazioni eccezionali (es. stagione 2013-2014, 2020-2021).

L’arretramento dei ghiacciai alpini potrebbe raggiungere livelli da record a fine stagione estiva 2022 se si dovessero confermare gli scenari attesi delle previsioni stagionali per il trimestre luglio, agosto e settembre che potrebbe essere caratterizzato ancora da temperature al di sopra della media e da precipitazioni inferiori alla media.

Lo stato dei ghiacciai è in ogni caso destinato a peggiorare in futuro. L’aumento delle temperature atteso nei prossimi anni e il minor apporto di neve, specie alle quote medio basse, lascia purtroppo prevedere la continua fusione dei ghiacciai. Secondo uno studio di EURAC entro il 2050 i ghiacciai del territorio potrebbero ritirarsi oltre i 3000 m (Rapporto sul Clima – Alto Adige 2018).

La graduale scomparsa dei ghiacciai costringe ad affrontare una serie di problemi che in futuro potrebbero esacerbarsi: la disponibilità di acqua per i diversi usi, potabile, idroelettrico e agricolo, la perdita di ecosistemi e il cambiamento del paesaggio che imporrà nuove modalità di accesso alla montagna.

Occorre agire in fretta innanzitutto sulle politiche di mitigazione per ridurre le cause del cambiamento climatico e quindi eliminare la produzione di gas climalteranti provenienti in particolare dall’utilizzo dei combustibili fossili.

Questo può rallentare il riscaldamento in corso ma non eliminarne gli impatti dato che il ritardo accumulato nell’intraprendere le necessarie misure è ormai tanto. Gli impatti dei cambiamenti climatici sono quindi inevitabili e rendono indispensabile adottare opportune misure di adattamento per limitare i danni su ecosistemi ed esseri umani.

Il ritardo dell’azione costerà sempre più caro se le regioni alpine non troveranno opportune e urgenti modalità di cooperazione per affrontare l’adattamento ai cambiamenti climatici con misure sinergiche e trasversali.