Dobbiamo imparare a vivere in un mondo a rischio: ecco il rapporto Onu 2022

Imparare a vivere in un mondo a rischio

Cosa dice il rapporto ONU del 2022

Il rapporto annuale dell’Ufficio delle Nazioni Unite per la riduzione del rischio di catastrofi sottolinea la necessità di “trasformare la governance per un futuro resiliente”. Dal 2002 a oggi, infatti, si sono verificati tra i 300 e i 500 disastri di medie e grandi dimensioni all’anno.

di Viola Ducati, articolista di Agenzia di Stampa Giovanile

Il 26 aprile è stato pubblicato il rapporto annuale dell’Ufficio delle Nazioni Unite per la riduzione del rischio di catastrofi (UNDRR). Il documento, rilasciato a un mese dall’inizio della settima sessione della Piattaforma globale per la riduzione del rischio di catastrofi (GP2022), evidenzia che dal 2002 a oggi si sono verificati tra i 300 e i 500 disastri di medie e grandi dimensioni all’anno, che negli ultimi cinque anni si sono registrate più emergenze rispetto ai cinque precedenti e che questo numero è destinato a crescere entro il 2030. Le cause di questo rapido aumento sono riconducibili non solo al cambiamento climatico, ma anche a un’inadeguata gestione del rischio da parte dei governi. Il titolo del rapporto parla chiaro: è necessario “trasformare la governance per un futuro resiliente”.

Fig. 1: Se le tendenze attuali continuano, il numero di disastri annuali a livello globale potrebbe aumentare da circa 400 nel 2015 a 560 entro il 2030, con un incremento netto del 40%.

Che cos’è il rischio e perché ci interessa

Vedere il rischio nel mondo che ci circonda può essere difficile. E quando si tratta di disastri, il rischio è spesso invisibile. Per comprendere questo concetto dobbiamo tenere conto di tre componenti: il pericolo, l’esposizione e la vulnerabilità.

Per pericolo viene inteso un fenomeno fisico potenzialmente distruttivo, come un’inondazione, un terremoto, un’eruzione vulcanica, una siccità o un uragano.

L’esposizione, invece, si riferisce all’ubicazione e al valore dei beni materiali e immateriali che potrebbero essere colpiti da un pericolo.

La vulnerabilità, infine, esprime la probabilità che i beni vengano danneggiati o distrutti quando esposti a un pericolo.

Il disastro, quindi, avviene quando un pericolo si combina con alti valori di esposizione e vulnerabilità.

Ciò detto, noi sappiamo che il pericolo è intrinseco al sistema Terra, ma sappiamo anche che sta diventando più intenso a causa dei cambiamenti climatici in atto. In assenza di risposte e strumenti adeguati, il rischio continua a crescere, e con esso i danni reali.

Come sottolineano gli autori del rapporto, inoltre, il nostro mondo globalizzato è un sistema complesso, dove eventi locali possono provocare effetti a cascata su territori e settori anche molto distanti. La pandemia di Covid-19 lo ha dimostrato in modo chiaro: un rischio locale, come un nuovo virus a Wuhan, può diventare globale. Ecco perché oggi più che mai è necessario conoscere e gestire meglio il rischio.

I dati parlano chiaro: nonostante gli impegni congiunti per costruire resilienza, affrontare il cambiamento climatico e creare percorsi di sviluppo sostenibile, le attuali scelte sociali, politiche ed economiche stanno ottenendo il contrario. Creiamo più rischi di quelli che riduciamo. Perdiamo ogni anno 170 miliardi di dollari a causa dei disastri naturali; per i Paesi dell’Asia Pacifica, tra i più esposti al rischio di catastrofi, le perdite valgono in media l’1,6% del loro PIL.

“Nel sottovalutare i rischi di questa situazione il mondo sta attivamente annullando tutte le conquiste sociali ed economiche degli ultimi decenni”, ha scritto sul Guardian Mami Mizutori, rappresentante speciale dell’UNDRR. Come fermare questa spirale di autodistruzione?

StopTheSpiral: cosa possiamo fare per gestire meglio il rischio

Con l’hashtag #StopTheSpiral l’UNDRR invita governi e istituzioni a cambiare il proprio approccio al rischio perché, come scrivono gli autori del rapporto, “fare di più quello che già si fa non sarà sufficiente”.

Oggi, a fronte di rischi e sfide globali e complessi, anche la nostra risposta deve essere sistemica: agli approcci tradizionali di gestione del rischio, basati su relazioni di causa-effetto lineari, dobbiamo sostituire nuovi modelli di governance, capaci di tenere conto di strutture causali complesse, evoluzioni dinamiche e impatti a cascata.

Nello specifico, l’UNDRR ha individuato tre azioni chiave per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile fissati dall’Agenda 2030 e dare attuazione al Quadro di riferimento di Sendai per la riduzione del rischio di disastri. Per prima cosa è necessario misurare i costi reali del rischio di catastrofi, perché spesso vengono sottovalutati. È importante che i bilanci nazionali includano i rischi connessi al cambiamento climatico e misurino in modo rigoroso i benefici sociali ed economici della prevenzione del rischio. Anche gli istituti finanziari e assicurativi sono chiamati a partecipare al cambiamento, incentivando investimenti resilienti rispetto ai cambiamenti climatici e al rischio di catastrofi.

In secondo luogo, dobbiamo migliorare la nostra percezione del rischio, riconoscendo i bias cognitivi che influenzano la nostra capacità di prendere decisioni. La percezione individuale, infatti, spesso basata su “ottimismo, sottovalutazione e invincibilità”, può portare a decisioni politiche, finanziarie e di sviluppo che esacerbano le vulnerabilità esistenti e mettono le persone in pericolo.

Infine, è necessario riconfigurare i sistemi finanziari e di governance, incentivando un approccio multidisciplinare alla gestione del rischio, la condivisione di un linguaggio comune ai diversi settori e un maggiore coinvolgimento delle comunità colpite dai disastri ambientali.

“La buona notizia è che le decisioni umane sono i maggiori fattori che contribuiscono al rischio di catastrofi, quindi abbiamo il potere di ridurre sostanzialmente le minacce poste all’umanità, e in particolare ai più vulnerabili tra noi”, ha concluso Mizutori. Come ha avvertito Amina J. Mohammed, Vice segretario generale delle Nazioni Unite, è arrivato il tempo di “trasformare il nostro compiacimento collettivo in azione”.