Gas serra: la “finestra si sta chiudendo”

Una trasformazione dell’economia non è più un’opzione ma una scelta indispensabile. Questo è ciò che emerge dall’Emission Gap Report 2022.

di Roberto Barbiero – APPA Agenzia Provinciale per la Protezione dell’Ambiente

Al centro dell’immagine si trova una piccola finestra che si sta chiudendo lasciando intravedere un paesaggio fatto di fiori, di acqua, di boschi. Tutto attorno un cielo cupo riempie lo spazio. Una scala si arrampica verso la finestra. Alcuni pioli sono mancanti e altri sono ormai spezzati.

Questa è l’immagine di copertina dell’Emission Gap Report 2022 pubblicato dal Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente e aggiornato ogni anno in vista della COP.

Passi molto limitati sono stati compiuti per ridurre l’immenso gap nelle emissioni di gas serra entro il 2030, cioè per ridurre il divario tra la riduzione delle emissioni promessa dai vari Paesi e la riduzione invece necessaria per soddisfare gli obiettivi previsti dall’Accordo sul clima di Parigi e cioè di limitare il riscaldamento globale a 2°C rispetto all’era preindustriale e fare il possibile per stare sotto 1,5°C. La temperatura è aumentate già di 1,1°C, il tempo per riempire questo gap si sta riducendo e la finestra si sta così per chiudere.

L’impegno di aumentare l’ambizione di riduzione delle emissioni al 2030, assunto alla COP di Glasgow del 2021, si è tradotto in nuove e aggiornate proposte dei cosiddetti impegni volontari nazionali (Nationally Determined Contributions – NDCs) che in realtà si sono rivelati del tutto inadeguati. Nel frattempo le concentrazioni in atmosfera dei principali gas serra continuano a crescere per quanto gli ultimi dati confermino che il tasso di aumento delle emissioni di CO2 da combustibili fossili sia rallentato, dal 3% annuo negli anni 2000 a circa 0,5% annuo nell’ultimo decennio. Le politiche attualmente in vigore, senza azioni più incisive, si prevede che porteranno ad un riscaldamento globale di 2,8°C e se fossero almeno mantenute le promesse espresse dagli NDCs ciò consentirebbe una riduzione di tale riscaldamento di appena 0,2-0,4°C. Ben altro bisognerebbe quindi fare. Per rimanere in linea con l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 2°C e 1,5°C, le emissioni annuali globali di gas serra devono essere ridotte, in soli otto anni, rispettivamente del 30% e del 45% rispetto alle politiche attualmente in vigore, per continuare a diminuire rapidamente anche dopo il 2030.

La pandemia di COVID-19 ha contribuito ad una drastica riduzione delle emissioni globali dal 2019 al 2020 che sono scese del 4,7% grazie ad un forte calo delle emissioni di CO2 prodotta dall’utilizzo di combustibili fossili e dall’industria. Tuttavia, le emissioni di CO2 nel 2021 sono subito tornate ai livelli del 2019 soprattutto a causa del ritorno all’utilizzo del carbone.

La Cina si conferma il più grande emettitore di gas serra (15 GtCO2eq nel 2020) e capeggia il gruppo delle economie che fanno parte dei G20 che sono responsabili del 75% delle emissioni globali. Per quanto riguarda le emissioni pro-capite tra le grandi economie dominano gli Stati Uniti (14 tCO2eq) con un valore doppio rispetto a quelle dei paesi dell’Unione Europea che invece mantengono il primato delle emissioni cumulate dal 1750 ad oggi di CO2 proveniente dall’utilizzo di combustibili fossili e dalla produzione di cemento. Insomma le responsabilità nelle cause del cambiamento climatico sono ben distribuite tra le più importanti potenze economiche!

Mentre si celebra alla COP27 la giornata dedicata al tema della decarbonizzazione, con la presentazione anche del rapporto Global Carbon Budget 2022, i lenti passi in avanti che si sono registrati verso il raggiungimento degli obiettivi al 2030 portano a concludere che rimane piuttosto bassa la credibilità e la fattibilità del raggiungimento di obiettivi a “zero emissioni” a lungo termine (2050-2060). Sono 88 le Parti all’interno della COP, responsabili del 79% delle emissioni globali di gas serra, che hanno indicato obiettivi a “zero emissioni” sia attraverso strumenti legali o anche solo come annunci ufficiali.

La gravità della situazione e l’urgenza di agire è racchiusa nelle affermazioni del report che vale la pena riportare parola per parola: “Il compito che il mondo deve affrontare è immenso: non si tratta solo di individuare obiettivi più ambiziosi, ma anche di mantenere tutti gli impegni presi. Ciò richiederà non solo un cambiamento incrementale settore per settore, ma un cambiamento ad ampio raggio, su larga scala, rapido e di trasformazione sistemica. Non sarà facile, visto le pressioni sui responsabili politici a tutti i livelli. L’azione per il clima è imperativa in tutti i paesi, ma deve essere realizzata contemporaneamente con tutti gli obiettivi di Sviluppo sostenibile”.

Una trasformazione dell’economia, e del sistema energetico in particolare, non sono più quindi una opzione ma una scelta indispensabile.

Occorre accelerare l’azione nei settori maggiormente responsabili delle emissioni di gas serra: la produzione energetica, l’industria, i trasporti e l’edilizia con interventi che prevedono diversi livelli di responsabilità tra governi nazionali e locali, la cooperazione internazionale, i cittadini, le imprese, gli investitori e le banche. Vengono suggerite alcune azioni chiave come ad esempio evitare investimenti in nuove infrastrutture ad alta intensità di uso di combustibili fossili, promuovere nuove tecnologie e nuovi strumenti di mercato.

Il rapporto pone poi l’accento sul ruolo del sistema di produzione alimentare e del sistema finanziario mettendo in evidenza il grande potenziale di miglioramento degli attuali obiettivi di mitigazione in questi ambiti.

Il sistema di produzione di cibo è responsabile di un terzo delle emissioni di gas serra globali (si stima che l’8-10% sia dovuto a sprechi e rifiuti alimentari), ma produce anche un forte impatto ambientale contribuendo alla deforestazione, alla perdita di biodiversità, al depauperamento delle acque e dei suoli. La trasformazione del sistema di produzione e consumo di cibo passa attraverso l’educazione a diete alimentari sostenibili, la protezioni degli ecosistemi naturali e dei suoli, il miglioramento della qualità del cibo prodotto e la decarbonizzazione della catena di produzione. Si tratta di azioni indispensabili per garantire anche la salute e la sicurezza alimentare per tutti.

Un forte richiamo infine viene rivolto al ruolo del sistema finanziario, inteso come rete di istituti pubblici e privati, i cui investimenti sono stati fino ad ora insufficienti nel sostenere le politiche di transizione. L’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) ha stimato che gli attuali investimenti per le azioni di mitigazione devono aumentare di un fattore da tre a sei, e anche oltre per i Paesi in via di sviluppo. Tra le azioni ritenute prioritarie vi è ad esempio l’introduzione di un prezzo al carbonio, la mobilitazione delle Banche centrali in azioni coordinate, l’aumento dell’efficacia dei mercati finanziari e la creazione di nuovi mercati per spingere innovazione e tecnologia low carbon.

Una rapida transizione del sistema economico e finanziario necessita in definitiva di approcci coordinati e cooperativi, adattati ai differenti contesti nazionali e regionali, con un indispensabile sostegno pubblico per garantire i principi di equità e giustizia all’interno e tra i paesi stessi. 

Vedremo se nei prossimi giorni la discussione su queste tematiche consentirà passi in avanti significativi e se verrà tradotta in proposte concrete.