COP27 in Egitto: negoziati in salita tra emergenza climatica e crisi energetica

Si è aperta in Egitto con gli interventi dei capi di stato e i rappresentanti di governo la Conferenza ONU delle Parti sul clima (COP27) che fino al 18 novembre vedrà le delegazioni dei vari Paesi impegnate in un ciclo di negoziati che si annuncia tra i più difficili e impegnativi. 

Di Paulo Lima, Presidente Associazione Viração&Jangada, e Roberto Barbiero, Climatologo dell’Agenzia Provinciale per la Protezione dell’Ambiente

Il clima dei lavori della COP27 sarà inevitabilmente condizionato dalla crisi geopolitica indotta dal conflitto in Ucraina che oltre all’immensa tragedia per le popolazioni coinvolte, ha determinato effetti a catena come sconvolgimenti nei mercati energetici e aumenti drammatici dei prezzi di prodotti alimentari e delle materie prime.

E’ una guerra che trova le sue radici in una crisi sistemica anche alla base dell’emergenza climatica. Tra le cause del conflitto vi è infatti la necessità di garantire l’accesso alle risorse fossili ritenute ancora strategiche per i consumi energetici di molti Paesi ma che rappresentano la causa principale delle emissioni di gas serra all’origine dei cambiamenti climatici. Le drammatiche conseguenze per i costi energetici e la sicurezza degli approvvigionamenti in molti Paesi, come quelli europei, stanno mettendo in discussione le già lente politiche finalizzate ad uscire dalla dipendenza dei combustibili fossili. 

Nel frattempo i segnali del cambiamento climatico si fanno drammaticamente più evidenti con paesi di tutto il mondo che hanno subito ondate di calore, incendi, siccità e piogge estreme con impatti su ecosistemi, società ed economie. Le inondazioni estive in Pakistan hanno messo in ginocchio un terzo del paese costringendo milioni di persone ad abbandonare le proprie case. Per l’Europa l’estate appena conclusa è stata la più calda mai osservata e le temperature negli ultimi trent’anni sono aumentate ad un ritmo doppio della media globale. Le regioni del nord Italia stanno attraversando la siccità più grave dal 1800 per le scarse precipitazioni che si sono verificate sin dall’inizio dell’anno. Arretramenti senza precedenti hanno interessato i ghiacciai alpini a causa del caldo e dell’assenza di precipitazioni nevose.

Con queste premesse la partenza dei negoziati appare subito in salita. Sul fronte della mitigazione i vari Paesi si presentano con impegni volontari di riduzione delle emissioni di gas serra, parzialmente aggiornati in vista della COP27, che risultano del tutto insufficienti a garantire il non superamento delle soglie di aumento della temperatura indicate dall’Accordo sul Clima di Parigi. Le emissioni di gas serra a livello globale rispetto alle proiezioni attuali dovrebbero infatti essere ridotte del 30% e del 45% rispettivamente per mantenere il riscaldamento globale entro 2°C e entro 1,5°C di aumento rispetto all’era pre-industriale. Nel frattempo la temperatura media globale ha già raggiunto la soglia di aumento di 1,1°C e la comunità scientifica richiama urgentemente all’azione perché il tempo a disposizione è sempre più ridotto per limitare impatti sempre più gravi e irreversibili a livello globale. Il programma di lavoro per aumentare l’ambizione delle politiche di mitigazione sarà pertanto uno dei punti nodali delle trattative e con esso le discussioni collegate come ad esempio le modalità per gli approcci cooperativi per il mercato del carbonio previsti dall’articolo 6 dell’accordo di Parigi. 

Al centro dell’agenda dei lavori della COP27 ci sarà tuttavia il tema dell’adattamento ai cambiamenti climatici. La spinta viene in particolare dai Paesi africani, supportata dalla Presidenza egiziana alla COP, dato che gli impatti maggiori dei cambiamenti climatici sono subiti dai Paesi più poveri. La richiesta è quella di incrementare sensibilmente i finanziamenti per le politiche di adattamento e per la messa in sicurezza delle popolazioni nonché per il trasferimento delle tecnologie necessarie per garantire la transizione energetica. 

C’è la domanda persistente se i paesi sviluppati stiano finalmente rispettando il loro impegno di mobilitare 100 miliardi di dollari all’anno di finanziamenti per il clima, una cifra che avrebbero dovuto raggiungere nel 2020, e se si stanno impegnando per raddoppiare tali finanziamenti come dichiarato.

La questione più controversa e spinosa è il finanziamento per le “perdite e danni” (Loss and Damage: impatti del cambiamento climatico che vanno al di là di ciò che può essere limitato anche con l’adattamento). I paesi in via di sviluppo sono irremovibili sulla necessità di affrontare questo problema alla COP27 e godono di un ampio sostegno da parte delle organizzazioni della società civile. Anche il Segretario generale dell’ONU Guterres ha sollecitato un avanzamento in questo senso e ha suggerito che le economie sviluppate tassino gli extra profitti delle multinazionali legate ai combustibili fossili per reindirizzare quei fondi ai paesi che subiscono le perdite e i danni alle persone e che lottano con l’aumento dei prezzi di cibo ed energia.

Alcuni paesi hanno proposto un’altra delicata questione finanziaria da inserire nell’agenda: rendere i flussi finanziari coerenti con un percorso verso basse emissioni di gas serra e uno sviluppo resiliente ai cambiamenti climatici (articolo 2.1c dell’Accordo di Parigi). L’idea è che l’azione di tutti gli attori finanziari, compresi i ministeri delle finanze, le banche commerciali, i fondi pensione e le banche multilaterali di sviluppo, sia allineata con gli obiettivi dell’accordo di Parigi, cosa che attualmente è totalmente disattesa.

La società civile presente a Sharm El-Sheikh terrà inoltre alta l’attenzione su inevitabili temi trasversali e direttamente connessi con le politiche per il clima. Nessuna azione potrà avere concreto successo senza infatti considerare la coerenza delle misure con la tutela dei diritti dei popoli indigeni e delle comunità locali, senza l’attenzione al gender gap e alla tutela dei diritti delle donne, senza la tutela dei diritti umani alla salute, al cibo e alle libertà individuali, senza la tutela dei diritti dei lavoratori e senza il coinvolgimento reale dei giovani.

Tra tanti segnali scoraggianti porta conforto la recente rielezione in Brasile di Lula che consentirà di far tornare protagonista nella scena internazionale un Paese strategico per la lotta ai cambiamenti climatici. Attendiamo però altre notizie positive da Sharm El-Sheikh.