Circolo Climatico, si parte!
Mercoledì 5 ottobre si è svolto il primo incontro della seconda edizione di Circolo Climatico. Un piccolo gruppo di 6 giovani ha iniziato a confrontarsi assieme alla psicologa Laura Endrighi sulle “emozioni climatiche” e sulle potenzialità di ogni emozione. Nel prossimo incontro esamineremo più da vicino la crisi climatica assieme al climatologo Roberto Barbiero e all’ingegnera ambientale Lavinia Laiti.
di Redazione
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Un piccolo gruppo si è raccolto mercoledì 5 ottobre per il primo incontro del progetto Circolo Climatico, cofinanziato dal Piano Giovani di Zona Trento Arcimaga e organizzato dall’associazione Viracao&Jangada con la collaborazione di APPA, MUSE, Ecosportello Fa’ la cosa giusta! Trento, Fridays for Future, Extinction Rebellion e Clima 3T.
“Ogni anno Viracao&Jangada porta i giovani alle Conferenze ONU sul clima”, ha raccontato ai giovani partecipanti Paulo Lima, presidente dell’associazione Viracao&Jangada. “Da questi incontri internazionali, però, siamo sempre usciti senza molta speranza, e una delle domande che ci sentivamo rivolgere più spesso, andando nelle scuole per gli eventi di restituzione, è: ‘E io che cosa posso fare?”.
Nasce così l’idea di adottare un approccio più psicologico al cambiamento climatico. “In Alto Adige la Rete della Sostenibilità – ha spiegato Lima – aveva provato a creare dei circoli climatici nelle biblioteche. Un’esperienza unica, che poi non si è più ripetuta. Abbiamo provato a promuovere la stessa cosa, ma con i giovani”.
La prima edizione di Circolo Climatico si è svolta infatti tra maggio e giugno 2022, mentre quella che si è aperta mercoledì 5 ottobre è la seconda edizione.

Le aspettative dei partecipanti sono diverse. Vanno dal “migliorare il mio stile di vita” al “fare qualcosa di concreto e cercare di cambiare le cose”, ma anche “capire come gli altri percepiscono il problema” e “conoscere qualcuno con cui condividere pensieri” ed “affrontare con consapevolezza le emozioni ambientali”, “creare legami e rete” e “trovare il lato positivo e speranza” o “la forza di non rassegnarsi”.
I partecipanti sono stati accompagnati da Lucilla Galatà, mediatrice culturale del MUSE, in un giro alla “Galleria della Sostenibilità”. Si è parlato di antropocene – “la prima volta nella storia dell’umanità in cui l’umanità stessa si interroga su ciò che sta succedendo al Pianeta” – ma anche dell’origine della parola sostenibilità, che appare per la prima volta in un report del 1986 e che implica il concetto di soddisfare i bisogni di una generazione senza però sacrificare quelli delle generazioni future.

“Tutto è interconnesso – ha spiegato Galatà -; la sfera ambientale è alla base di tutto, anche della sostenibilità. A questa sfera si innestano poi i bisogni delle persone, quindi la sostenibilità sociale, e poi l’economia con la sostenibilità economica”.
8 miliardi di abitanti vivono sulla Terra, mentre nel 1984 non erano nemmeno 4 miliardi. L’aumento del prodotto interno lordo ha portato a un miglioramento delle condizioni di vita che però si sta arrestando, perché sta andando a degradare la condizione stessa per l’esistenza: le risorse che stanno alla base della nostra sopravvivenza. Un altro argomento trattato, infatti, è stata la perdita di biodiversità. “Alcuni scienziati dicono che siamo all’interno della sesta estinzione di massa – ha detto Galatà – in cui il meteorite è l’uomo”. Citato anche il libro “I limiti dello sviluppo”, commissionato a un gruppo di scienziati dell’MIT (Massachusetts Institute of Technology), i quali calcolarono che se la crescita fosse andata avanti con la stessa celerità saremmo arrivati a un collasso nella metà del ventunesimo secolo.
Il gruppo ha scelto poi delle regole per il Circolo: puntualità, sospensione del giudizio e “ha la parola solo chi prende la palla o alza la mano”.
Si è arrivati quindi a parlare di “emozioni ambientali” con la psicologa Laura Endrighi, che ha citato il riferimento di Circolo Climatico, il libro “Ecoansia” di Matteo Innocenti, edito dalla casa editrice Erickson di Trento. Ad “inventare” il concetto di “ecoansia”, che all’inizio colpiva soprattutto gli attivisti, è stato il professore di filosofia australiano Glenn Albrecht.
“L’ecoansia – ha detto Endrighi – non è considerata come una patologia, ma come una reazione adattiva: è normale preoccuparsi per qualcosa che c’è. Le emozioni, infatti, sono adattive: servono per sopravvivere”. I partecipanti hanno quindi ragionato su emozioni come ansia, rabbia, paura e tristezza, pensando non solo agli elementi di “fatica” che queste comportano ma anche alle loro potenzialità.
“La solastalgia – ha aggiunto Endrighi usando il termine coniato da Albrecht – è la tristezza di aver perso un luogo dell’infanzia che non è più com’era una volta per effetto del cambiamento climatico. Basta pensare a ciò che è successo dopo Vaia anche in Trentino”.
Alla fine di ogni incontro si è deciso di condividere una storia positiva di persone che ogni giorno cercano di portare un contributo positivo contro il cambiamento climatico. La prima storia presentata è stata quella dell’ultracyclist Omar Di Felice, di cui aveva parlato Ilaria Bionda in questo articolo-intervista (leggilo qui).